domenica 7 dicembre 2014

Cacciatori di voti s’aggirano per il Sud

di Lino Patruno

Al Sud, al Sud. Non meraviglia che ora se lo solchino in lungo e in largo sia il presidente del Consiglio, Renzi, che il segretario della Lega Nord, Salvini. Magari dicendo di considerarlo importante, tanto quanto in passato non lo consideravano affatto. Magari parlando in una maniera e pensando nell'altra. Ma anche loro paiono aver capito ciò che nella storia nazionale si è sempre ripetuto: le elezioni si vincono o si perdono a Sud. E siccome in Italia l’unica cosa certa è che si è sempre in campagna elettorale, meglio essere pronti.

Il Sud serbatoio di voti. Oltre che di manodopera a poco prezzo (emigrazione). Oltre che di consumo di prodotti altrui (del Nord). Fino a diventare tanto più governativo quanto più i governi lo hanno ignorato, salvando l’Italia da tutti gli estremismi nati altrove: dal fascismo, alla guerra civile dopo la guerra, al terrorismo. Tutto effetto di un’unità d’Italia che il Sud fece fatica a digerire, e ci mancherebbe, visto come avvenne.

Allora il trionfalismo di chi la fece si scontrò con la riluttanza di chi se la ritrovò. E fu allora che cominciò quell'assistenza al Sud che doveva ricompensarlo dei danni ricevuti. Assistenza in cambio di consenso elettorale, io do a te tu dai a me. Soldi che per un secolo sono andati a foraggiare dirigenze locali garantendo loro una sopravvivenza artificiosa. Al di là del loro eventuale malgoverno. Posti di lavoro, uffici pubblici, leggi speciali che creavano pace sociale e non sviluppo. Che andavano più dove servivano per quel consenso che dove servivano per l’economia. La posta e l’ospedale dove ci volevano aziende e capannoni. Come neve che cadeva e non attecchiva.

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martedì 2 dicembre 2014

Tutti i tagli del governo Renzi al Mezzogiorno. Il Pd leghista e la Lega nazionale

--Alessandro Postiglione

Purtroppo, al di là dei tweet, il governo sta imponendo tagli indiscriminati a tutto il Mezzogiorno, in perfetta continuità con il governo Berlusconi, allorquando si attingeva ai fondi Fas per il Sud per finanziare di tutto: dall'esenzione Ici al ripianamento dei debiti di Roma Capitale. Come avevo previsto, dunque, il governo ha decurtato il cofinanziamento nazionale ai progetti comunitari per il solo Mezzogiorno, portando i tagli da 8 a ben 12 miliardi.

Quando si tratta di investire, al principio perequativo della nostra Costituzione, per il quale chi ha di meno, cioè il Sud, dovrebbe avere di più per perseguire la convergenza fra aree del Paese, si è sostituito un nuovo principio punitivo, alimentato dalla retorica del Sud sprecone. Attraverso inchieste ed articoli che raccontano solo il Mezzogiorno peggiore, precisi interessi perseguono l'obiettivo di legittimare agli occhi dell'opinione pubblica questa inversione delle responsabilità: come si diceva ad alcune donne vittime di stupri, il Sud se l'è cercata. Il Mezzogiorno diventa arretrato non perché non si investa, ma essendo povero nonostante le risorse, tanto vale spendere altrove.

Ecco che si tacciono le performance sulla rendicontazione dei fondi europei di Puglia e Basilicata, superiori a quelle di Trentino o Lazio, e si sottolineano i ritardi nella spesa di Calabria e Campania, dimenticandosi che, nel loro caso, cofinanziamento e fondo di coesione superano del 60% la spesa massima consentita dal Patto di Stabilità interno. Al Sud, dunque, non investire; anzi, meglio prelevare. Così, anche il bonus occupazione proposto dal Governo viene finanziato con 4 miliardi destinati al Mezzogiorno; così, anche gli incentivi alle imprese meridionali vengono decurtati del 52% contro una sforbiciata del 5,2% al Nord; mentre degli ultimi 3,8 miliardi di euro assegnati dal Cipe alle filiere produttive, ben 3,3 vanno al solo Centro Nord, come denunciato da Marco Esposito sul Mattino di Napoli.

Per continuare a leggere l'articolo di Alessio Postiglione sul suo blog pubblicato su Huffington Post, fai click su questo link

lunedì 1 dicembre 2014

Basilicata: Sblocca Italia o Sblocca trivelle? Perché il Pd non ricorre alla Corte Costituzionale?

--Arnaldo Capezzuto

E’ partito il conto alla rovescia. Giovedì 4 dicembre sbarcheranno a Potenza una marea di lucani. Stazioneranno davanti al palazzo della Regione Basilicata. Faranno sentire il fiato sul collo a quei tanti politiconzoli che pavidamente siedono da notabili su poltrone telecontrollate da Roma.

I lucani sono incazzati e paonazzi dalla rabbia. Il futuro è nero. Lo stesso colore del petrolio assassino che una potentissima lobby a tante teste è pronta ad estrarre senza guardare in faccia a nessuno. Una devastazione e una distruzione del territorio – questa volta – stabilita per legge. All'ordine del giorno del Consiglio Regionale -infatti – approda il famigerato “Sblocca Italia – la legge 164/2014 – che liberalizza le trivelle e le estrazioni di greggio sull'intero territorio regionale e nel Mar Jonio. C’è da farsi la croce a mano storta. Molti sindaci tra questi Vito Di Trani di Pisticci – in queste settimane- raccogliendo il grido di protesta dei cittadini – in modo autonomo – attraverso atti concreti hanno chiesto al presidente della Regione Basilicata, il piddino Marcello Pittella, di impugnare presso la Corte Costituzionale il famigerato articolo 38 della legge “Sblocca Italia” che nei fatti espropria Comuni e Regioni della sovranità di decidere ed effettuare scelte sul proprio territorio.

C’è da dire che non tutti i politici agiscono nell'interesse di chi vive in Basilicata. Ci sono controfigure, mezz’uomini, omicchi impegnati solo a nascondersi dietro a spesse cortine fumogene e farsi belli agli occhi dei vari capibastione, capi corrente, portaborse e leccaculo dei big nazionali. Li vedi arrampicati sugli specchi, con i piedi in due scarpe, abbarbicati a più tavoli, scappare da una riunione a un’altra, organizzare assemblee dentro assemblee, confezionare delegazioni e preparare “i famosi” incontri al vertice. Il tutto per decidere di non decidere.  Il caso della Provincia di Potenza è da manuale. Seguito dal Comune di Matera e da altre piccole comunità che hanno trasmesso al presidente della giunta regionale una generica indicazione di rivedere “le intese” sul petrolio. E’ una parola. Il Governatore Marcello Pittella sull'argomento è stato chiaro e non accetta tentennamenti: “Chi dice che stiamo aprendo a migliaia di trivelle dice un’idiozia” .

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sabato 29 novembre 2014

Ora la Lega punta al Sud e chiama gli ex Mpa

Assoldato anche il recordman di voti Pisacane


Gigi Di Fiore

Niente ampolle con l’acqua del Po, niente Alberto da Giussano o convocazioni a raccolta per il raduno di Pontida. Da Roma in giù, l’annunciata espansione della Lega nord dovrà fare a meno di tutto l’armamentario ideologico-folkloristico del parito creato da Umberto Bossi. Un disegno espansionistico, rafforzato da 58.041 voti raccolti alle Europee nelle circoscrizioni del Sud. Un risultato senza precedenti.

“A maggio, concludemmo un accordo elettorale con la Lega, in vista delle Europee – spiega Gianfranco Vestuto, fondatore nel 1995 della Lega sud-Ausonia – Nasceva da una stessa visione sui danni dell’euro e sul Parlamento europeo.  Ma quando il discorso si sposta sul territorio, le cose cambiano.  E così abbiamo preso le distanze da qualsiasi disegno della Lega nord al Sud.”

Vestuto, 54 anni, inizi politici giovanili nel Msi, fu il primo esponente nelle istituzioni (il consiglio circoscrizionale di Fuorigrotta) della Lega nord nel Mezzogiorno.  La sua Lega sud-Ausonia, che conta tra i simpatizzanti anche la principessa Kathrin Von Hohenstaufen erede di Federico II di Svevia, han nel simbolo anche lo stemma delle Due Sicilie e della Trinacria.  Alle Europee si è candidato nella lista della Lega nord, con altri 2 iscritti alla Lega sud.  Ora prende le distanze, anche se dalla sede del Carroccio continuano a fargli la corte.

Per continuare a leggere l'articolo di Gigi Di Fiore pubblicato il 26 novembre 2014 su "Il Mattino", ingrandire la foto che segue.



venerdì 21 novembre 2014

Quel mito di Garibaldi ipotecato dalle 'ndrine

Gigi Di Fiore

Sembravano retaggi folkloristici del passato: giuramenti, patti di sangue, richiami al mito massonico, cerimonie formali per sancire l’ingresso di un nuovo affiliato in un’organizzazione mafiosa. Invece, l’inchiesta milanese pesca un video, che documenta un rito d’affiliazione nel locale di ‘ndrangheta di Fino Mornasco in provincia di Como. Profondo nord, alle porte della Svizzera. Le mafie senza più confini da tempo, non più esclusiva del Sud, ma estese alle regioni settentrionali, accolte da imprenditori senza scrupoli, colletti bianchi in cerca di scorciatoie, professionisti da parcelle d’oro.


Per continuare a leggere l'articolo di Gigi Di Fiore, pubblicato a pagina 11 de "Il Mattino" del 19 novembre 2014, fare clic sulla foto qui sotto e ingrandire.




domenica 16 novembre 2014

Lino Patruno: Ma l’imbroglio non sono solo i fondi europei

Lino Patruno

Roba da illusionisti. Quelli che ti fanno sparire le cose sotto gli occhi: così con i fondi europei. E non solo per quei tre miliardi che si scopre essere stati scippati al Sud per finanziare gli sgravi ai neoassunti. Il Sud che ancòra una volta assiste il Nord tanto quanto è accusato di essere assistito. Perché quelle assunzioni saranno fatte (se saranno fatte) soprattutto al Nord. Ma come, ma no, cosa dite?
 Al Sud la percentuale di industrializzazione è stata nel 2013 di 37,4 addetti ogni mille abitanti, al Centro Nord di 93,9. Quindi se le industrie sono soprattutto lì, lì assumeranno, non essendo stato inventato il sistema per assumere dove non c’è chi assuma. Obiezione: se non avete industrie è anche colpa vostra, visto quanti soldi vi abbiamo dato. La solita storia dei quanti soldi vi abbiamo dato, sembra Salvini prima che si convertisse da (presunto) meridionalista, lui che fino a poco fa diceva che i napoletani puzzano.

Questi soldi sarebbero gli incentivi, anzi sono. Sempre contestati dal Sud più intelligente, il quale preferisce i treni (per tutti) agli incentivi (per alcuni), come questo giornale  (n.d.r.: quest'articolo è stato pubblicato su "La Gazzetta del Mezzogiorno" il 7 novembre 2014) va predicando da tempo. Ma tant’è. Il fatto è che anche gli incentivi un illusionista ce li ha fatti sparire sotto gli occhi. Confronto fra il periodo 2007-2009 e il periodo 2010-2012: media annuale delle agevolazioni alle imprese meridionali passata da 2,6 a 1,2 miliardi, diminuzione 52 per cento. Media annuale delle agevolazioni al Centro Nord, da 3 miliardi a 2,8, diminuzione 5,2 per cento.

Il Sud assiste il Nord, capitolo secondo. Anzitutto perché scopri che già prima del taglio gli incentivi andavano più a chi sta meglio che a chi sta peggio. Poi, visto che il delitto era stato commesso, tanto valeva farlo perfetto. Piccolo particolare: gli incentivi alle aziende del Nord sono pagati anche con le tasse del Sud. Quindi grazie al governo che ne avrebbe a cuore le sorti, il Sud finanzia il divario a suo danno e a favore del Nord. Se il medesimo governo non voleva più gli incentivi, non li tagliava solo al suo prediletto Sud. Elementare, Watson.

 Ma i fondi europei? Ah, ecco. Anzitutto il taglio del 50 per cento del cofinanziamento statale. E solo al Sud, non al Nord. Quando si fanno i progetti (strade, ospedali, ferrovie), l’Europa finanzia solo la metà, il resto devono metterlo Stato, Regioni e privati. Se lo Stato dimezza il suo apporto, è come dire che le Regioni da sole non ce la faranno a usare i fondi. Tranne poi accusarle di non saperli usare. Anzi vi togliamo parte del cofinanziamento proprio perché non sapete usarli, così imparate. Ma insomma, non sappiamo usarli o non possiamo usarli? Più che roba da illusionisti, un giochino da bambini scemi.

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sabato 8 novembre 2014

Chinchino Compagna, la Rai e Alianello quando non c'erano i neoborbonici

Gigi Di Fiore

Non fu agevole la trasmissione in Rai dello sceneggiato "L'eredità della priora". Sette puntate, addirittura sul primo canale, di un lavoro con la regia del noto Anton Giulio Majano. Un'autorità televisiva di allora. Musiche, diventate di cult, di Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò, ispirazione al romanzo scritto da Carlo Alianello in prima edizione nel 1963.

Il tema, certo, non era di facile digestione nell'Italia di allora: il brigantaggio, una vicenda familiare inserita nei giorni della marcia di Carmine Crocco verso Potenza. Alianello, padre militare italiano e nonno militare borbonico, aveva iniziato 40 anni prima una rilettura senza pregiudizi sulla caduta del regno delle Due Sicilie. Lo avevano ispirato i racconti di famiglia ed era poi andato avanti con ricerche e documenti.

Alianello, scrittore lucano di Tito, cattolico, autore di decine di libri e consulente storico persino di Luchino Visconti, emarginato dal mondo letterario per tante sue idee. Il suo romanzo "L'Alfiere", pubblicato nel 1942, fu messo al bando dal fascismo, che lo ritenne troppo disfattista in mesi di guerra: raccontava le vicende di vinti, i militari borbonici che non avevano voluto arrendersi o passare con Garibaldi. Discorsi non facili da far passare, anche 34 anni fa.

Gigi Di Fiore
I neoborbonici non erano ancora nati, Riccardo Pazzaglia pensò a quella provocazione tredici anni dopo. Ma lo sceneggiato di Rai uno suscitò subito reazioni indignate. Fu la cultura liberale, di ispirazione crociana, a infastidirsi di più. E ne fu espressione Francesco (Chinchino) Compagna, allievo di Croce, già giornalista di Nord e Sud e del Mondo di Pannunzio, repubblicano e ministro della Repubblica.

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martedì 4 novembre 2014

La Basilicata sottomessa al petrolio


Pietro Dommarco
Con lo "Sblocca Italia il futuro della Basilicata si sta legando sempre più all'estrazione di petrolio. In progetto nuovi pozzi da perforare, soprattutto da parte di Eni, per incrementare la produzione di circa il 50%. L’impatto delle attività estrattive è pesante sull'agricoltura, ma anche sugli aspetti sociali e sanitari. Inoltre, dal 2000 manca una seria indagine epidemiologica. Il futuro della Basilicata è sempre più legato allo sfruttamento della risorsa petrolio. Infatti, dopo gli incontri dei mesi scorsi tra il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, e il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, secondo alcune fonti locali sarebbe imminente un nuovo appuntamento. 


L’obiettivo – di “interesse strategico” secondo la Strategia energetica nazionale e il decreto “Sblocca Italia” – sarebbe quello di accelerare sull'aumento della produzione: dagli 85-88 mila barili al giorno attuali si passerebbe ai 104 mila previsti dall'accordo Eni-Regione Basilicata del 1998, per poi spingersi verso la soglia dei 129 mila barili estratti ogni giorno dalla sola Val d’Agri, come auspicato dalla società di San Donato Milanese nel “Local Report 2012”.

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venerdì 31 ottobre 2014

Il rapporto Svimez, il divario Nord-Sud e le leggi approvate dal primo Parlamento italiano

Gigi Di Fiore

Il Sud è al tracollo. Mai così male, negli ultimi 40 anni. Lo Svimez diffonde cifre da brividi: del 12,7 per cento crollati i consumi; del 4,2 gli investimenti. Solo due volte, dall'unità d'Italia in poi, al Sud ci sono stati più defunti che bambini nati. La prima volta fu nel 1867.

Male, male, male: il divario aumenta e l'occupazione è come fu nel 1977, con 583mila posti di lavoro persi. Il sottosegretario Graziano Delrio parla di "Sud diventato la Germania dell'Est dell'Italia" e il presidente dello Svimez, Adriano Giannola, denuncia: "Negli ultimi 25 anni si è puntato solo sulla locomotiva Nord, dimenticando il Mezzogiorno".

C'è da chiedersi, parlando d'Italia, se privilegiare il Nord nelle scelte politico-economiche sia fenomeno soltanto degli ultimi 25 anni o se, per caso, il nostro non sia sempre stato un Paese nord-centrico nei suoi obiettivi di sviluppo. Il divario economico si ridusse negli anni del boom economico nei primi anni '60 del secolo scorso: lo dicono le cifre del Pil di quel periodo riportate anche dai professori Daniele e Malanima. Periodo che coincise con l'avvio della Cassa del Mezzogiorno, che significò investimenti e opere pubbliche in grado di trainare l'economia meridionale.

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domenica 26 ottobre 2014

Investimenti pubblici, il clamoroso caso ferrovie: 98,8% di fondi al Nord. Al Meridione solo le briciole

Marco Esposito

La Leopolda è un’ex stazione ferroviaria. Lì ieri Debora Serracchiani, che coordina il tavolo trasporti, ha detto che in Italia bisogna investire soprattutto in ferrovie e «soprattutto al Sud». In effetti tra Sblocca Italia e legge di Stabilità ci sono quasi 5 miliardi di risorse fresche per le ferrovie (4.859 milioni), però con questa ripartizione territoriale: 4.799 da Firenze in su e 60 milioni a Sud di Firenze. Per chi ama le percentuali, il rapporto è 98,8% a 1,2%. È possibile immaginare qualcosa di più squilibrato? Forse la Serracchiani, che vive a Udine, per Sud intende il vicino Sud Tirolo perché di Mezzogiorno, negli ultimi provvedimenti del governo, ce ne è davvero poco, mentre per due volte a distanza di un mese si è finanziato per il Tunnel ferroviario del Brennero.

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venerdì 24 ottobre 2014

Bandiera delle Due Sicilie in caserma, storia di sconfinamenti.

di Angelo Forgione

Corre sul web la notizia della denuncia (non arresto) di due persone, Ferdinando Ambrosio (36) e Nicola Terlizzi (38), per aver esposto la bandiera del Regno delle Due Sicilie al termine della 
Corsa Storica dei Bersaglieri a Monte di Dio del 22 ottobre. Sarebbero stati fermati dalla Digos e denunciati per vilipendio alla nazione italiana e introduzione in luogo vietato.

Ambrosio e Terlizzi, evidentemente, intendevano lanciare un messaggio preciso, ben consci che i Bersaglieri (come i Carabinieri) sono un’Arma di origine piemontese, costituita nel 1836, utilizzata negli stupri e nei saccheggi dei territori meridionali durante l’invasione del Regno delle Due Sicilie, e rappresentano un simbolo di piemontesizzazione della Penisola. Il problema, nella poco chiara vicenda di cui sono protagonisti i due manifestanti, sta proprio nel luogo in cui sarebbe avvenuto il fermo: la caserma “Nino Bixio”, tra l’altro assegnata alla Polizia di Stato ma un tempo “Gran Quartiere di Pizzofalcone”, fortezza del Seicento costruita per accogliere le truppe fino ad allora alloggiate ai Quartieri Spagnoli e poi assegnata dopo l’Unità al 1° Reggimento dei Bersaglieri di Napoli, dedicata a Nino Bixio, colui che nel 1863 scrisse alla sorella riguardo al Meridione: “[...] Se io dovessi vivere in queste regioni preferirei bruciarmi la testa… [...] Questo insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Affrica a farsi civili!”.

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domenica 12 ottobre 2014

Gigi Di Fiore: L'immagine di Napoli

Mai, come negli ultimi tempi, siamo stati tanto bombardati da documentari, programmi di approfondimento, salotti televisivi che propongono le loro letture su Napoli. Città senza facce, o da troppe facce. Città enigmatica, porosa, dove la penetrabilità, in pochi metri, tra diversi ambienti sociali, è storicamente consolidata.

A Chiaia, in pochi metri, convivono i Quartieri spagnoli e via dei Mille. Ad un tiro di schioppo l'uno dall'altro. L'immagine di Napoli è nella serie di successo di Gomorra. Qui il male è sovrano, il protagonista è il boss della camorra su cui si riflettono, inevitabilmente, simpatie e sorrisi. Il male ha sempre il,suo fascino, specie in ambienti poco attrezzati culturalmente. Figuriamoci il male che diventa narrazione spettacolare, fiction a effetto dove tutto è esagerato. E, in questa serie tv, la camorra si fa Napoli.

L'immagine di Napoli è nello speciale di Servizio pubblico sul Rione Traiano. Qui, dopo la morte di Davide Bifolco, l'adolescente ucciso in circostanze da accertare da un carabiniere, le telecamere vanno a caccia dell'illegalità. E hanno, quando la pesca è mirata, solo l'imbarazzo della scelta: le piazze dello spaccio di droga, le famiglie del clan che controlla il quartiere, i giovani tutti uguali sul motorino costoso, che guidano senza casco, con i loro tatuaggi, la frasi contro lo Stato e l'atteggiamento di chi ha qualche torto subito da vendicare.  L'immagine di Napoli è l'illegalità diffusa.

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sabato 11 ottobre 2014

Lino Patruno: Venghino venghino c’è lavoro in Germania

di Lino Patruno

Dunque, arrivano “cacciatori di teste” tedeschi e si vengono a prendere la nostra meglio gioventù. Ingegneri, soprattutto ingegneri. Poi tecnici dall’aeronautico all’ambientale. Ma anche medici, farmacisti, infermieri. Quelli che sarebbero fondamentali anche per il Sud se non fosse lasciato senza lavoro. Quelli sfornati dalle nostre università e dalle nostre scuole pur così vilipese. I bellissimi ragazzi di cui tutti parlano come grande risorsa. Appunto, risorse umane secondo il cieco linguaggio della burocrazia. Emissari hanno fatto le selezioni in Puglia, e le faremo sapere.
 Perché possano essere scelti devono però conoscere la lingua tedesca, non è neanche sufficiente l’inglese. Pensate che altro sacrificio. Beh, sapete, se non sono idonei i meridionali italiani, sa quanti ce ne sono pronti da Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo, per non parlare dei Paesi dell’Est. Perché in un’Europa che dovrebbe essere unita, la Germania è l’unica a poter abusare. E consentirsi di prosciugare gli altri delle loro, appunto, risorse umane. Senza capire che, stremando gli altri con l’ossessivo rigore, gli altri cominciano ad acquistare sempre meno da lei, che infatti perde colpi. Ma è più facile che George Clooney divorzi fra qualche giorno che la cancelliera Merkel ammorbidisca la sua testa.

 Eppure, che dire a chi ti offre un lavoro che tu non hai? Dobbiamo ringraziarli, meno male. Già De Gasperi, sessant'anni fa, invitava a imparare le lingue per poter emigrare. Emigrazione cioè come destino, la normalità, anzi un’opportunità offerta non una condanna imposta. Ma già da quando l’emigrazione dal Sud è cominciata, fine ‘800, i mediatori e i procacciatori di braccia andavano in giro a reclutare. E poi, non è stato un meridionale stesso come Eduardo De Filippo a pronunciare il famoso “fuitevenne”? Scappatevene. E oggi ci sono altri intellettuali meridionali a dire che viene da ripeterlo. Anzi c’è chi dice esplicitamente che chi se ne va fa bene. E del resto, che ci rimangono a fare a morire dentro senza lavoro?

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sabato 4 ottobre 2014

Stefano Lo Passo: Ogni lucano paga all'Italia 4 milioni di euro all'anno in oro nero

In tempi di lega e crisi lo scenario nel Mezzogiorno d’Italia appare quanto mai oscuro. I dati Svimez evidenziano il rischio estinzione dell’industria (-15,8%), l’agricoltura arretra di cinque punti percentuali e la disoccupazione sfiora il 24%, in pochi anni si rischia di grattare il fondo. Per tutta risposta lo stato Italiano continua a spostare le risorse destinate al Sud al centro Nord ed a ripartire in maniera squilibrata i fondi nazionali (vedi i fondi FAS ed i fondi CIPE) tra la quasi totale indifferenza della classe politica eletta nei collegi elettorali del Mezzogiorno. Gli uomini posti ai vertici istituzionali del Sud dimostrano sempre più di esser asserviti a poteri a cui poco o niente interessa delle sorti del Sud.

A riprova che la causa di tale disastro sia la politica nazionale sfavorevole al meridione c’è l’evidenza che alcuna regione del Sud fa eccezione e la classifica in base alla ricchezza stillata da Eurostat [2], delimita un quadro ben preciso rappresentativo della spaccatura interna al paese che non si sarebbe mai potuta avere se non con una precisa volontà discriminatoria, ormai cronica e indicativa dell’intramontabilità di taluni poteri durante la storia patria; basti pensare come in soli vent'anni sia stata livellata l’economia della Germania dell’Est a quella dell’Ovest e come invece in 150 anni sia stato affossato l’apparato finanziario, industriale e bancario del Meridione d’Italia.

Tuttavia, se la volontà politica ha voluto premiare il settentrione su tutti i livelli di sviluppo, il meridione ha senz'altro avuto in dono incredibili risorse naturali che se tramutate in denaro, e riutilizzate sul territorio, potrebbero capovolgere l’attuale situazione Italiana.

La Basilicata è lo scrigno del Mezzogiorno e non solo; nel sottosuolo del Parco Nazionale della Val d’Agri vi è il più grande giacimento petrolifero dell’Europa continentale (sesto nel mondo) in cui sono stimati esser contenuti 465 milioni di barili di petrolio di ottima qualità. Da circa quindici anni è iniziata l’estrazione ad opera di Eni\Agip e Total con 47 pozzi aperti  che estraggono ogni giorno 92.900 barili, quasi il 9% dell’intero fabbisogno Nazionale [3]. Considerando che l’attuale prezzo al barile è di 90$, la Basilicata “versa” alle casse dello stato Italiano ed in quelle degli azionisti privati circa tre Miliardi e mezzo di dollari l’anno, ovvero circa due miliardi e mezzo di euro ai quali va tolto il 7% di royalties destinati alle comunità locali (nel 1958 Enrico Mattei considerava ‘un insulto’ il 15 % che le Sette Sorelle versavano ai Paesi produttori e parlava di reminiscenze imperialistiche e colonialistiche della politica energetica).

Per continuare a leggere l'articolo di Stefano Lo Passo sul sito www.meridionalismo.it, fai clic su questo link

lunedì 29 settembre 2014

Arnaldo Capezzuto: De Magistris era stato avvertito



C’è chi finge di non capire, chi mesta nel torbido e chi la butta in caciara: speculandoci politicamente sopra. Il caso giudiziario – perché di questo si tratta – della singolare condanna a un anno e tre mesi del sindaco di Napoli Luigi de Magistris viene da lontano e affonda le sue radici in un contesto torbido e inquietante. Impugnando bene il bandolo e seguendo a ritroso il filo della memoria ci si ritrova in una matassa ancora oggi ingarbugliatissima. Qui una melassa maleodorante, viscosa, oleosa dove interessi più disparati e trasversali trovano coaguli dall’impressionante potenza criminale.


L’attacco-difesa di De Magistris nel corso della seduta del Consiglio Comunale contro pezzi dello Stato e di alcuni giudici non è stato casuale.

Sbaglia e bestemmia chi paragona il De Magistris furioso al Silvio Berlusconi d’antan contro le toghe rosse. L’ex pm anche indossando la fascia tricolore di sindaco non ha mai distolto o allontanato lo sguardo da alcune notizie di reato che lo portarono ad indagare e conseguentemente scandagliare quei santuari probiti calabresi e lucani. E’ chiaro che De Magistris conosce fatti, circostanze e segreti di pezzi importanti delle istituzioni e personaggi infedeli. Ci sono azioni che non si perdonano. Ci sono affronti che devono essere puniti. Ci sono condotte imperdonabili. Luigi De Magistris dovrebbe ringraziare San Gennaro se è vivo. A volte nel nostro paese il tritolo viene utilizzato per fatti meno importanti.

Per continuare a leggere l'articolo di Arnaldo Capezzuto sul suo blog presso "Il Fatto Quotidiano" fai clic su questo link

lunedì 22 settembre 2014

Gennaro De Crescenzo: La Scozia, Il Mattino e i partiti per il Sud…

Gennaro De Crescenzo
presidente del Movimento Neoborbonico

Sul Mattino del 20/9/14 alcuni articoli interessanti e significativi per il dibattito in corso a proposito del Sud e delle recenti elezioni scozzesi.  Secondo Isaia Sales, a proposito delle questioni meridionali, “si insiste sulle responsabilità soggettive delle popolazioni e delle classi dirigenti fino a far coincidere il divario economico e civile con un problema di mentalità”: questo esprimerebbe, di fronte a questioni così complesse, “il bisogno umano e politico di auto-rassicurarsi: se non si è trovata una soluzione ad un problema razionalmente risolvibile, è solo per difetti soggettivi della popolazione, non per responsabilità più ampie che vanno ben al di là dei territori coinvolti”.

Se ci riflettiamo, si tratta dello stesso schema applicato in ogni settore e anche nella cronaca nera: è sempre “colpa di Napoli e dei Napoletani”, anche quando sono solo vittime. In pratica si tratta di ciò che capita al Sud dal 1860 e che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità di conoscere il nostro passato per individuare quel filo rosso della continuità di certe scelte culturali e politiche, un filo da tagliare prima o poi. E sarà possibile tagliarlo solo conoscendolo e ri-conoscendolo: durante l’unificazione italiana le teorie lombrosiane sulla inferiorità dei meridionali furono utilizzate dai ceti dirigenti del Nord come del Sud per giustificare i massacri in corso della nostra gente (cfr. Colajanni e Gramsci sugli altri) così come le teorie sull'arretratezza  del Regno delle Due Sicilie furono inventate dagli storici ufficiali del Nord come del Sud per giustificare il fallimento e le proprie colpe di fronte ai problemi irrisolti e gravi del Mezzogiorno (Croce in testa, come ci ha rivelato l’ultimo sorprendente John Davis).

Sempre sullo stesso giornale tre illuminanti interventi di Gigi Di Fiore, da sempre attento alle tematiche relative alla (vera) storia dell’unificazione italiana. In due interviste al giornalista siciliano Pietrangelo Buttafuoco e a Bepi Covre, uno dei fondatori della Liga Veneta, entrambi gli intervistati sintetizzano nella mancanza di identità e di memoria storica cancellate dall'unificazione i punti deboli dei progetti “territorialisti” in Veneto, al Sud e nella stessa Scozia. Lo stesso Di Fiore confronta molto efficacemente in un altro articolo (“Regno unito nella diversità, ma da noi prevale l’ironia”) il quadro britannico e quello italiano: l’Inghilterra, referendum o meno, riconosce l’identità dell’Irlanda, del Galles e della Scozia nonostante i 307 anni dall'annessione a fronte dei 153 dell’annessione italiana. I sette secoli di autonomia meridionale (per non arrivare ai tanti secoli di autonomia culturale precedente, Magna Grecia inclusa) sono stati cancellati, allora, per Di Fiore, a favore di una nordificazione e di un azzeramento delle diversità storiche e non solo di quelle napoletane/duosiciliane.

Per continuare a leggere l'articolo del prof. De Crescenzo clicca qui

domenica 21 settembre 2014

Matrix: Marco Esposito mette in difficoltà Salvini e Cacciari

Pino Aprile ha commentato su Facebook la presenza di Marco Esposito alla trasmissione Matrix del 18 settembre 2014, in occasione del referendum scozzese. Riportiamo quanto ha scritto Pino Aprile e rilanciamo il video con l'intervento molto efficace di Marco Esposito.


Pino Aprile

Al volo:

1 - La faccia di Cacciari, a Matrix, mentre Marco Esposito (bravo Marco!) gli esponeva cifre che lui non conosce, perché, da dx o da sx, si ritiene che del Sud non ci sia nulla da sapere, oltre quel che si crede di sapere, cioè qualche puttanata su “rimboccatevi anche voi le maniche”, perché noi “terroni del nord invece...”. Così, Cacciari non replica con altre cifre a cifre, ma ridacchia e scuote mani e testa. Ovvero, linguaggio del corpo: nasconde la confusione dietro l'irrisione;

2 - La condiscendenza lurida di Salvini che cerca sponde al Sud, accantonando, per il momento, inviti al Vesuvio ed Etna a “lavare” i meridionali “colerosi e terremotati”;

3 - La boiata di Ricolfi che continua a essere spacciata per oro: i 50 miliardi che il Nord passa al Sud, tralasciando che quella cifra viene inventata moltiplicando il numero dei disoccupati, per il numero delle ore di disoccupazione, per 6,30 euro all'ora. Metodo stravagante, diciamo... “creativo”, che gli viene contestato, per dire, dal professor Tattara, economista (lui davvero, non alla Ricolfi) all'università di Venezia.


L'intervento di Marco Esposito, ospite a Matrix il 18 settembre 2014

venerdì 12 settembre 2014

‘Davide Bifolco vive’ se lo Stato si rimette il cappello


di Arnaldo Capezzuto

Le parole sono stanche, ridondanti, vuote. Una bara bianca, il dolore struggente di una famiglia, l’abbraccio di un popolo. Dopo la tragica, maledetta, inumana morte di Davide per mano di un carabiniere nulla sarà più uguale a prima al Rione Traiano ma in generale nelle periferie delle città italiane. Lo sgomento, la sofferenza, il lutto non dovranno conservarsi e perpetrarsi solo nel ricordo dei cari, dei parenti e amici della vittima ma trasformarsi in memoria collettiva e riflessione permanente. “Davide vive” è impresso sui muri e sulle magliette distribuite a tutti i giovani del rione. Questo non dev'essere solo uno slogan emozionale legato al momento ma un intento serio e irrinunciabile di un pezzo dimenticato di Napoli. Il triste destino di quel ragazzo – poco più che adolescente – con tanti sogni spezzati deve diventare occasione per cambiare i comportamenti, e soprattutto la testa della gente.

Non è facile. Lo so. I miracoli non esistono. San Gennaro si è stancato. A Napoli tutto si ripete e perpetua. E’ vero. Anche i corsi e ricorsi storici del filosofo partenopeo Giambattista Vico sono andati in crisi. Adesso è l’ora. Bisogna darsi una scossa. Neppure il barile si può più raschiare. Deve risoffiare il vento di popolo, lo stesso che spirava nel corso delle quattro giornate quando i napoletani cacciarono via i nazi-fascisti dalla propria terra. Napoli non può più restare ferma, immobile, decadente. Questo antistorico medioevo è come una condanna all'ergastolo. Davide vivrà davvero e andrà oltre il suo funesto destino se i napoletani una volta e per tutte contrasteranno l’antica ed endemica malattia meridionale del “nonsipuotismo”, la maledetta rassegnazione a non poter fare nulla per cambiare le cose.

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mercoledì 6 agosto 2014

Pietrarsa, l'anniversario del 6 agosto e la polemica tra il Pungolo e il colonnello Corsi

Gigi Di Fiore

L'anniversario è ormai noto. Ricorre oggi e riporta al 6 agosto del 1863. E' la data della prima protesta operaia dell'Italia unita, della reazione dei carabinieri che spararono, uccidendo 7 operai e ferendone 20. Sì, è la strage di Pietrarsa, stabilimento metallurgico che, voluto da Ferdinando II di Borbone nel 1844, nei tempi d'oro dava lavoro a 1050 tra operai e militari.

Non tutti sanno che, nei due anni che precedettero la svendita ai privati dell'opificio, avvantaggiando l'attività dell'Ansaldo di Genova, ci fu un lavorio frenetico di deprezzamenti, speculazioni, manovre basse per svilire lo stabilimento. L'obiettivo era colpirne la credibilità, l'attività economica, la capacità produttiva per smantellarlo e farlo arrivare nelle mani di gente senza scrupoli pronta ad arricchirsi.

Alla manovra si presta il giornale il Pungolo, fondato a Milano da Leone Fortis nel giugno del 1859. Vendeva diecimila copie e, nei numeri 191 e 192 del 1861, si occupò di Pietrarsa. Lo fece pubblicando in due tempi una lunga lettera che deprezzava la fabbrica, bollandola come frutto di manie di grandezza della precedente dinastia borbonica, senza convenienze produttive e senza guadagno reale. Fabbrica di Stato, priva di clientela privata propria, scrisse il Pungolo.

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sabato 28 giugno 2014

La morte di Ciro, i silenzi sulle responsabilità e il conformismo dell'informazione

Scorrevano le immagini televisive di quella mamma, che ancora una volta dava esempio di dignità e amore. Scorrevano, mentre Ciro di lì a poco sarebbe morto. Scorrevano mentre, nei processi ai Mondiali in onda in quelle stesse ore sulla Rai, si parlava di sconfitta dell'Italia con l'Uruguay.

Un commentatore si diceva dispiaciuto che le condizioni di Ciro fossero ormai senza speranze, ma poi aggiungeva - parola più, parola meno - "sì, però, le immagini di quel Genny la carogna non le vorremmo mai più vedere".

Ancora, di nuovo, come tanti altri prima. Genny la carogna e la pigra e facile equazione dell'ultrà napoletano vicino alla camorra, del violento buzzurro (il fisico e il look, di certo, non aiutavano quel Genny a sfuggire alla semplificazione mediatica), di chi aveva tenuto uno stadio intero sotto scacco.

Roba di quasi due mesi fa, l'oggi è Ciro Esposito morto. L'oggi è un funerale affollatissimo a Scampia. L'oggi sono ancora le parole riconcilianti della mamma di Ciro e dei suoi zii. E allora chiediamoci cosa abbia significato, per commentatori e narratori, questa vicenda.

I luoghi comuni sulla Scampia tutta regno del male ne sono usciti a pezzi. La famiglia Esposito ne era la negazione, l'opposto: facce pulite, gente perbene, lontanissimi dal folklore. Poi, c'era stato quel Genny, alibi e rifugio per pigrizie intellettuali e scarsa comprensione su quello che era accaduto. Paginate intere a chiedere inasprimenti di pene per il Daspo, stadi sicuri, ultrà da allontanare.

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sabato 7 giugno 2014

Isaia Sales: Tra Nord e Sud chi ruba di più?

Il Nord è la parte più «avanzata» del sistema della corruzione in Italia

di Isalia Sales
6 giugno 2014, "Corriere del Mezzogiorno"

L'inchiesta sulle tangenti a Venezia convincerà finalmente l'opinione pubblica nazionale (e i suoi facitori) di quanto fosse scorretta l'assoluta identificazione della parola corruzione con il Sud? Ne dubito. E con qualche ragione. Infatti, si è continuato a sostenere questa tesi anche dopo che mezza giunta regionale della Lombardia era finita in carcere per mazzette, anche dopo che è stato accertato che quasi tutte le opere pubbliche preparatorie dell'Expo di Milano erano regolate da tangenti, anche dopo che in Piemonte la corruzione politico-amministrativa si è dimostrata non occasionale ma strutturale. 

Ci sono dei pregiudizi, dei luoghi comuni, delle falsità storiche che resistono a tutte le prove contrarie, a tutte le ragionevoli e documentate opere di scardinamento della loro fondatezza. Al Sud è ormai da tempo affidato il compito salvifico di ripulitura della cattiva coscienza dell'Italia e delle sue classi dirigenti. 

Avvenne la stessa cosa dopo la tangentopoli degli anni '90, che partì non a caso da Milano e da inchieste sugli amministratori della città. Eppure la classe politica e imprenditoriale che ha dominato negli ultimi vent'anni in Italia, quasi tutta di provenienza centro-settentrionale, ha avuto facile gioco nel mettere sulle spalle dei meridionali le responsabilità dei propri insuccessi. Forse è venuto il momento che dal Sud con più forza e convinzione si avvii un'opera sistematica di demolizione delle interpretazioni «culturaliste» sui mali del Sud. 

venerdì 6 giugno 2014

L'orrore delle guerre, la Patria, don Milani e lo sbarco garibaldino del 1860

Gigi Di Fiore

Negli ultimi giorni, mi ha preso una specie di repulsione per la raffica di orrori che non smette mai di assediarci da televisioni, giornali, Rete, ipad, cellulari, radio. Guerre, sangue, sofferenze: la cronaca, la storia dell'istante, ripete se stessa nell'ossessione delle grandi storie di violenza dell'uomo su altri uomini.

Da sempre, eroi dell'anti-eroismo hanno tentato di opporre il loro impegno nella vita quotidiana per battersi in concreto contro le guerre, le sopraffazioni da sete di conquista. Tra i primi cattolici obiettori di coscienza, Giuseppe Gozzini, scomparso qualche anno fa, ha lasciato scritti e ricordi, pubblicati da poco dalla figlia Letizia.

Gozzini rimanda a don Lorenzo Milani, un prete che si "sporcava le mani" per rimediare alle ingiustizie della società. Don Milani appoggiò il movimento di obiettori contro la guerra e il servizio militare obbligatorio. Il suo manifesto, "L'obbedienza non è più una virtù", è documento di lucida analisi e speranza, che dovrebbe essere letto e studiato nelle scuole.

Contiene anche una parte di rapida analisi sulla storia italiana a partire dall'unità. Don Milani esordiva: "Volta per volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare".

Rileggere quelle righe, ci riporta alla spietata analisi del saggio di Angelo Del Boca "Italiani brava gente". Sentite cosa scriveva don Milano sull'epopea dei Mille: "1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria".

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mercoledì 4 giugno 2014

Ad Adelfia (Bari): "Sud Italia e Verità - a 280 anni dalla nascita della Borbonia Felix"

Piazza Galtieri, Adelfia (Bari), 7 giugno 2014, ore 19:30, dibattito con Luigi Angiuli, Pino Aprile e Gennaro De Crescenzo  


La Pro Loco Adelfia, Compagnia del Borgo con la collaborazione di Associazione Dioniso ed Associazione Ars Adelfia, ha organizzato un dibattito intitolato "Sud Italia e Verità - a 280 anni della nascita della Borbonia Felix." che si terrà il 7 giugno 2014 alle 19,30, nello storico scenario di piazza Galtieri ad Adelfia (Bari)




Interverranno gli autori: Luigi Angiuli, "Briganti e Piemontesi", Pino Aprile, "Il Sud Puzza", e Gennaro De Crescenzo,  "Il Sud - Dalla Borbonia Felix al Carcere di Fenestrelle".

Durante l'evento sarà proiettato il video "Porta di Carlo, poi detta portone Nuovo o Arco di Ripalta", ci sarà anche un momento musicale con Serena Antonacci che eseguirà "Inno al Re" e "Il Canto degli italiani", e un momento teatrale con il "Sergente Romano" di Luigi Angiuli.


domenica 1 giugno 2014

Gigi Di Fiore: Convegno Nord-Sud organizzato da Rubbettino editore

"La questione meridionale diventi d'interesse europeo"

Gigi Di Fiore

La politica nazionale non ne discute, la questione meridionale è definizione bandita dal dibattito economico e l’iniziativa dell’editore Forindo Rubbettino sembra quasi una sfida. “Senza Freni” a parlare di Mezzogiorno e di possibilità di sviluppo, mettendo insieme economisti e storici.

C’è l’analisi sul passato, unite alle proposte per superare le difficoltà del Sud, perché “le parole sono importanti” dice l’assessore regionale calabrese Mario Caligiuri. In un’Italia di economia agricola, come quella degli anni dell’unità, il divario tra le due aree del Paese non poteva essere elevato. Lo evidenziano economisti come Vittorio Daniele e Guido Pescosolido.  In quegli anni, il vero parametro di sviluppo industriale non poteva che essere la Gran Bretagna, non il Piemonte.

“Ragioni di posizione geografica più vicina ai grandi mercati europei, unite a scelte di politica economica, alimentarono un divario in crescita nei primi 20 anni unitari”, argomenta il professore Daniele. Le tariffe doganali del 1887 misero poi in ginocchio l’esportazione della produzione agricola meridionale, spiega il professore Pescosolido che ricorda come “l’annuario statistico italiano del 1864 sottovalutò, con dati superati o ignorati, la produzione agricola meridionale”.

Niente divari economici all'alba dell’unità, ma differenze sociali. E proprio il parametro della “coesione sociale” viene considerato “determinante per ogni sviluppo” dal sociologo Carlo Borgomeo.  Il Mezzogiorno però è anche vittima di una “narrazione di stereotipi di cui sono autori spesso proprio i meridionali”, spiega la docente di storia Marta Petrusewicz.

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venerdì 30 maggio 2014

Marco Esposito: Il Sud in crisi rinuncia a fare figli

(da "Il Mattino" del 29 maggio 2014, pag 1 e 13.)

Marco Esposito, foto profilo Facebook
«Imprevedibile». Il vocabolario per descrivere la crisi nella quale è immerso il Mezzogiorno si arricchisce di un nuovo termine: secondo l’Istat era «imprevedibile nella rapidità con cui si è realizzato» l’abbandono nel Mezzogiorno di comportamenti tradizionali consolidati, come metter su famiglia. Nel Sud Italia si assiste infatti a quello che viene definito un «disinvestimento riproduttivo»: il no ai figli per le donne nate dal 1982 in poi.

Di fronte alla crescente sfiducia, si legge nel Rapporto annuale Istat presentato ieri, la rinuncia a procreare diventa «l’unico strumento rimasto a disposizione di questi giovani adulti del Mezzogiorno, donne e uomini: lo spostamento dell’investimento in capitale umano dal loro futuro al loro presente, dai loro potenziali discendenti a se stessi». E se alle poche nascite si unisce l’emigrazione il risultato è un territorio abitato da anziani. L’Istat stima che nel 2041 nel Sud Italia ci saranno tre vecchi per ogni giovane.

Parole dure, analisi non rituali che fanno del Rapporto Istat di quest’anno, illustrato ieri alla Camera, quasi un Rapporto Svimez. La crisi dell’Italia c’è ed è innegabile ma il Mezzogiorno non è soltanto il posto dove i problemi nazionali sono un po’ più intensi, come a volte semplicisticamente si vuole far credere, perché è in atto una vera e propria mutazione antropologica del territorio. «La crisi peggiora i divari territoriali», sintetizza l’istituto presieduto da Antonio Golini.

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Il Sud in crisi rinuncia a fare figli




sabato 10 maggio 2014

Rabbia e orgoglio napoletano: giù le mani dalla nostra gente


Prof. Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico

Giù le mani dalla nostra gente. Giù le mani da quel ragazzo napoletano che lotta in quel letto di ospedale perché qualcuno con una bandiera che non era azzurra aveva deciso di strappargli la vita a 30 anni e proviamo solo a immaginare se succedeva il contrario.

Giù le mani da quei 30.000 che riempivano quello stadio a Roma e da quelli che riempiono ogni domenica anche gli altri stadi sotto la pioggia o sotto il sole carichi di amore e di speranza di un riscatto che è sempre un riscatto pure se passa per un pallone.

Giù le mani da quelli delle curve perché in curva i biglietti costano meno, perché in curva (lo so bene) si sta tutti insieme se sei professore e se sei disoccupato, se sei bambino, vecchio, medico o camorrista ed è forse l’unico irripetibile posto dove ci batte forte il cuore a tutti nello stesso momento e per lo stesso motivo senza chiederci chi è e che fa quello che sta vicino a noi.

Giù le mani anche, in fondo, da quei tifosi aggrappati a quei cancelli sabato sera e che qualcuno ha chiamato per rassicurare tutti gli altri, perché loro davvero erano preoccupati e tristi per Ciro e per Ciro non hanno cantato e non hanno esposto gli striscioni e le bandiere e da Ciro sono andati senza neanche vedersi la partita.

Giù le mani perché è anche questa la gente mia, coi soprannomi che pure se sono brutti sono quelli dei nostri padri che pure se non sono stati perfetti sono sempre i nostri padri.

Giù le mani da quella gente di Scampia o di Forcella o della Sanità che da 150 anni se li sono scordati e se li ricordano solo se devono sbatterli davanti ad una telecamera o su un giornale o se devono scrivere i loro nomi come fanno i giudici per mandarli in galera o lontani dal “campo” e quei giudici somigliano assai a quelli che ieri segnavano i nomi dei nonni dei loro nonni e li chiamavano briganti e pure li mandavano via lontano o se ne liberavano per sempre con lo stesso disprezzo.




lunedì 5 maggio 2014

Gigi Di Fiore: I fischi dell'Olimpico all'inno di Mameli e quei segnali da interpretare

C'è un ragazzo che rischia di restare paralizzato alle gambe, ci sono le immagini di uno stadio in attesa di sapere cosa era successo a quella vittima di un folle che ha potuto sparare senza difficoltà. Poi, c'è la maglietta nera con la scritta "Speziale libero" e la figura del capo ultrà napoletano che la indossa, che sembra dover assorbire tutto il resto.

Notte di finale di coppa Italia, notte romana di due giorni fa, notte di calcio incomprensibile. Come quando, proprio chi ha sparato al ragazzo napoletano, scendeva in campo a mediare e trattare con Totti, poco prima del derby romano che fu giocato solo con il placet della tifoseria.

Notte dove è facile non capire, dove confluiscono tanti diversi frammenti di realtà. Tanti umori e apparenze. Dove si riconiuga l'equazione camorra infiltrata nella tifoseria ultrà e si dimentica che tutto lo spettacolo è andato in onda sotto gli occhi del presidente del Consiglio, del presidente del Senato, di rappresentanti di più istituzioni.

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domenica 27 aprile 2014

Gigi Di Fiore: I migranti eritrei, la nemesi della storia e gli orrori del nostro colonialismo

La storia fa giri curiosi. E si prende le sue rivalse. Mi è venuto da pensarlo, seguendo per Il Mattino il nuovo incremento di sbarchi di migranti sulle coste siciliane. Un flusso inarrestabile, un mondo in cerca di sicurezza, in fuga dall'orrore e dalle guerre.

I numeri parlano chiaro. E le croci copte portate al collo da tanti uomini e donne dalla lucida e liscia pelle scura lo confermano. La maggioranza arriva dall'Eritrea: bel 5033 fino a pochi giorni fa. Furono una massa enorme anche lo scorso anno: 9834 eritrei, al secondo posto dopo gli 11307 siriani.

L'Eritrea e la Somalia, Paesi che riportano a memorie di poco meno di 80 anni fa. Faccetta nera, l'impero nelle mani di Vittorio Emanuele III, il colonialismo targato tricolore e Benito Mussolini con il maresciallo Pietro Badoglio, l'uomo per per tutte le stagioni scelto anche per la rinascita dell'Italia in ginocchio nel 1943, nominato governatore.

Italiani brava gente? No, tutte le guerre sono un orrore. E tutte le guerre di conquista fanno tirare fuori il peggio da ogni uomo. L'uso dei gas mortali, le impiccagioni dei ribelli, le rappresaglie contro eritrei, etiopi e somali furono compiuti in nome dell'impero italiano. Indovinate come si indicavano i ribelli nei rapporti italiani? "Briganti", naturalmente. Ha scritto tanti libri, ci ha speso tanto lavoro alla ricerca di documenti uno studioso-giornalista come Angelo Del Boca. E' proprio lui ad aver ironizzato in un suo libro sugli "Italiani brava gente".

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martedì 11 marzo 2014

Storie, controstorie e false verità sul Risorgimento: da Fenestrelle all'eccidio di Pontelandolfo

Presentazione del libro di Gigi Di Fiore
"1861.Pontelandolfo e Casalduni: Un
massacro nascoso"
Hotel "Gli Dei" Pozzuoli,
15 marzo 2014, ore 18,30
di Gigi Di Fiore

Negli ultimi tempi si assiste ad uno strano fenomeno, che sembra rovesciare la categoria del cosiddetto revisionismo. E' il revisionismo del revisionismo, fenomeno tutto italiano e tutto concentrato sul nostro Risorgimento. Accademici, ricercatori, cultori di storia si affannano a smentire, e rivedere documenti e ricerche che hanno riletto vicende oscure e per anni rimosse. Vicende che riguardano, guarda caso, l'annessione del Mezzogiorno al resto dell'Italia.

Ha cominciato, tra i primi, il professore di storia medievale Alessandro Barbero. Dopo decenni di inerzia, spinto da pubblicazioni di "storici non patentati" (come lui li definisce), ha speso molte energie, limitandosi a ricerche vicino casa sua (leggi Archivio di Stato di Torino), per ridimensionare il fenomeno dei prigionieri napoletani, catturati dall'esercito piemontese e spediti al Nord in prigioni come Fenestrelle.

Obiettivo della ricerca era smentire l'esistenza di un fenomeno vasto (eppure documenti ufficiali parlano di 8mila meridionali trasferiti al nord come prigionieri di guerra), con decine di morti nelle strutture di detenzione. L'obiettivo era fare scalpore, probabilmente vendere un libro, ripetere che solo gli storici di professione possono occuparsi di certe cose e che tutto era stato già detto e scritto nei termini accettati da anni dall'accademia ufficiale.

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venerdì 7 marzo 2014

A proposito delle polemiche sugli squilibri Nord e Sud: Gramsci, Nitti e altre storie

Gigi Di Fiore

Negli ultimi giorni, ho letto tanti interventi, rinnovate polemiche sullo squilibrio economico tra Nord e Sud. C'è chi dice: tutta colpa dei meridionali, che sanno solo piangersi addosso e si danno classi dirigenti non all'altezza da sempre.

Le repliche: no, lo squilibrio si è accentuato nel tempo per scelte di politica economica, a partire dai primi vent'anni dell'unità d'Italia, che hanno favorito le regioni settentrionali. E ancora: il Sud è stato sempre considerato terra di consumo, di tassazione, di interventi residuali.

Mentre impazzano questi scritti sui giornali, arriva la notizia che la Corte dei conti, numeri alla mano, ha scoperto che da noi si pagano molte più imposte che nelle altre regioni italiane. E che tutto nasce da una discutibile interpretazione di federalismo. Insomma, è ormai chiaro che il famigerato squilibrio in tempi di crisi e la scomoda questione meridionale siano il vero nodo del possibile sviluppo dell'intero Paese.

venerdì 21 febbraio 2014

Gigi Di Fiore: I ritardi economici del Sud e quelle intuizioni di Nitti 110 anni fa


Si riaccende, come spesso accade a fasi alterne, il dibattito sui ritardi del Sud rispetto al resto d'Italia. L'occasione sono sempre questo o quel libro, questa o quella polemica sui giornali. Come si presentava il Mezzogiorno d'Italia alla vigilia dell'unità, quando si è accentuato il divario economico con le regioni del Nord? Questi i temi.

E' ormai dimostrato che, all'avvicinarsi di quel 1861, il pil meridionale era assai simile a quello del centro-nord. E che il Mezzogiorno divenne questione per le scelte di politica economica nei primi 25 anni dell'unità. E i numeri parlano poi di un divario in crescita nel Ventennio fascista, quasi eliminato negli anni del boom economico, per poi riacutizzarsi dopo la crisi energetica del 1973.

Non starò qui a ripercorrere le varie fasi di queste differenze, le ragioni storiche, le scelte economico-politiche dei diversi governi. Mi piace, invece, ricordare un anniversario: i 110 anni da quella che fu chiamata legge speciale per Napoli. Formule, poi riproposte negli anni successivi, individuate da Francesco Saverio Nitti, Un lucano, grande uomo del Sud, che scrisse come ai meridionali, nei primi anni dopo l'unità, non era rimasto altro che diventare briganti o emigranti.