lunedì 29 settembre 2014

Arnaldo Capezzuto: De Magistris era stato avvertito



C’è chi finge di non capire, chi mesta nel torbido e chi la butta in caciara: speculandoci politicamente sopra. Il caso giudiziario – perché di questo si tratta – della singolare condanna a un anno e tre mesi del sindaco di Napoli Luigi de Magistris viene da lontano e affonda le sue radici in un contesto torbido e inquietante. Impugnando bene il bandolo e seguendo a ritroso il filo della memoria ci si ritrova in una matassa ancora oggi ingarbugliatissima. Qui una melassa maleodorante, viscosa, oleosa dove interessi più disparati e trasversali trovano coaguli dall’impressionante potenza criminale.


L’attacco-difesa di De Magistris nel corso della seduta del Consiglio Comunale contro pezzi dello Stato e di alcuni giudici non è stato casuale.

Sbaglia e bestemmia chi paragona il De Magistris furioso al Silvio Berlusconi d’antan contro le toghe rosse. L’ex pm anche indossando la fascia tricolore di sindaco non ha mai distolto o allontanato lo sguardo da alcune notizie di reato che lo portarono ad indagare e conseguentemente scandagliare quei santuari probiti calabresi e lucani. E’ chiaro che De Magistris conosce fatti, circostanze e segreti di pezzi importanti delle istituzioni e personaggi infedeli. Ci sono azioni che non si perdonano. Ci sono affronti che devono essere puniti. Ci sono condotte imperdonabili. Luigi De Magistris dovrebbe ringraziare San Gennaro se è vivo. A volte nel nostro paese il tritolo viene utilizzato per fatti meno importanti.

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lunedì 22 settembre 2014

Gennaro De Crescenzo: La Scozia, Il Mattino e i partiti per il Sud…

Gennaro De Crescenzo
presidente del Movimento Neoborbonico

Sul Mattino del 20/9/14 alcuni articoli interessanti e significativi per il dibattito in corso a proposito del Sud e delle recenti elezioni scozzesi.  Secondo Isaia Sales, a proposito delle questioni meridionali, “si insiste sulle responsabilità soggettive delle popolazioni e delle classi dirigenti fino a far coincidere il divario economico e civile con un problema di mentalità”: questo esprimerebbe, di fronte a questioni così complesse, “il bisogno umano e politico di auto-rassicurarsi: se non si è trovata una soluzione ad un problema razionalmente risolvibile, è solo per difetti soggettivi della popolazione, non per responsabilità più ampie che vanno ben al di là dei territori coinvolti”.

Se ci riflettiamo, si tratta dello stesso schema applicato in ogni settore e anche nella cronaca nera: è sempre “colpa di Napoli e dei Napoletani”, anche quando sono solo vittime. In pratica si tratta di ciò che capita al Sud dal 1860 e che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità di conoscere il nostro passato per individuare quel filo rosso della continuità di certe scelte culturali e politiche, un filo da tagliare prima o poi. E sarà possibile tagliarlo solo conoscendolo e ri-conoscendolo: durante l’unificazione italiana le teorie lombrosiane sulla inferiorità dei meridionali furono utilizzate dai ceti dirigenti del Nord come del Sud per giustificare i massacri in corso della nostra gente (cfr. Colajanni e Gramsci sugli altri) così come le teorie sull'arretratezza  del Regno delle Due Sicilie furono inventate dagli storici ufficiali del Nord come del Sud per giustificare il fallimento e le proprie colpe di fronte ai problemi irrisolti e gravi del Mezzogiorno (Croce in testa, come ci ha rivelato l’ultimo sorprendente John Davis).

Sempre sullo stesso giornale tre illuminanti interventi di Gigi Di Fiore, da sempre attento alle tematiche relative alla (vera) storia dell’unificazione italiana. In due interviste al giornalista siciliano Pietrangelo Buttafuoco e a Bepi Covre, uno dei fondatori della Liga Veneta, entrambi gli intervistati sintetizzano nella mancanza di identità e di memoria storica cancellate dall'unificazione i punti deboli dei progetti “territorialisti” in Veneto, al Sud e nella stessa Scozia. Lo stesso Di Fiore confronta molto efficacemente in un altro articolo (“Regno unito nella diversità, ma da noi prevale l’ironia”) il quadro britannico e quello italiano: l’Inghilterra, referendum o meno, riconosce l’identità dell’Irlanda, del Galles e della Scozia nonostante i 307 anni dall'annessione a fronte dei 153 dell’annessione italiana. I sette secoli di autonomia meridionale (per non arrivare ai tanti secoli di autonomia culturale precedente, Magna Grecia inclusa) sono stati cancellati, allora, per Di Fiore, a favore di una nordificazione e di un azzeramento delle diversità storiche e non solo di quelle napoletane/duosiciliane.

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domenica 21 settembre 2014

Matrix: Marco Esposito mette in difficoltà Salvini e Cacciari

Pino Aprile ha commentato su Facebook la presenza di Marco Esposito alla trasmissione Matrix del 18 settembre 2014, in occasione del referendum scozzese. Riportiamo quanto ha scritto Pino Aprile e rilanciamo il video con l'intervento molto efficace di Marco Esposito.


Pino Aprile

Al volo:

1 - La faccia di Cacciari, a Matrix, mentre Marco Esposito (bravo Marco!) gli esponeva cifre che lui non conosce, perché, da dx o da sx, si ritiene che del Sud non ci sia nulla da sapere, oltre quel che si crede di sapere, cioè qualche puttanata su “rimboccatevi anche voi le maniche”, perché noi “terroni del nord invece...”. Così, Cacciari non replica con altre cifre a cifre, ma ridacchia e scuote mani e testa. Ovvero, linguaggio del corpo: nasconde la confusione dietro l'irrisione;

2 - La condiscendenza lurida di Salvini che cerca sponde al Sud, accantonando, per il momento, inviti al Vesuvio ed Etna a “lavare” i meridionali “colerosi e terremotati”;

3 - La boiata di Ricolfi che continua a essere spacciata per oro: i 50 miliardi che il Nord passa al Sud, tralasciando che quella cifra viene inventata moltiplicando il numero dei disoccupati, per il numero delle ore di disoccupazione, per 6,30 euro all'ora. Metodo stravagante, diciamo... “creativo”, che gli viene contestato, per dire, dal professor Tattara, economista (lui davvero, non alla Ricolfi) all'università di Venezia.


L'intervento di Marco Esposito, ospite a Matrix il 18 settembre 2014

venerdì 12 settembre 2014

‘Davide Bifolco vive’ se lo Stato si rimette il cappello


di Arnaldo Capezzuto

Le parole sono stanche, ridondanti, vuote. Una bara bianca, il dolore struggente di una famiglia, l’abbraccio di un popolo. Dopo la tragica, maledetta, inumana morte di Davide per mano di un carabiniere nulla sarà più uguale a prima al Rione Traiano ma in generale nelle periferie delle città italiane. Lo sgomento, la sofferenza, il lutto non dovranno conservarsi e perpetrarsi solo nel ricordo dei cari, dei parenti e amici della vittima ma trasformarsi in memoria collettiva e riflessione permanente. “Davide vive” è impresso sui muri e sulle magliette distribuite a tutti i giovani del rione. Questo non dev'essere solo uno slogan emozionale legato al momento ma un intento serio e irrinunciabile di un pezzo dimenticato di Napoli. Il triste destino di quel ragazzo – poco più che adolescente – con tanti sogni spezzati deve diventare occasione per cambiare i comportamenti, e soprattutto la testa della gente.

Non è facile. Lo so. I miracoli non esistono. San Gennaro si è stancato. A Napoli tutto si ripete e perpetua. E’ vero. Anche i corsi e ricorsi storici del filosofo partenopeo Giambattista Vico sono andati in crisi. Adesso è l’ora. Bisogna darsi una scossa. Neppure il barile si può più raschiare. Deve risoffiare il vento di popolo, lo stesso che spirava nel corso delle quattro giornate quando i napoletani cacciarono via i nazi-fascisti dalla propria terra. Napoli non può più restare ferma, immobile, decadente. Questo antistorico medioevo è come una condanna all'ergastolo. Davide vivrà davvero e andrà oltre il suo funesto destino se i napoletani una volta e per tutte contrasteranno l’antica ed endemica malattia meridionale del “nonsipuotismo”, la maledetta rassegnazione a non poter fare nulla per cambiare le cose.

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