sabato 26 ottobre 2013

Gigi Di Fiore: Neoborbonici, tutto cominciò 20 anni fa

In principio furono i neoborbonici. Era vent'anni fa, nel 1993. Molto prima di loro, Carlo Alianello con i suoi libri, Angelo Manna con le sue appassionate trasmissioni televisive, Aldo De Jaco con i suoi saggi-documento: cercavano di raccontare la storia del Sud diventato italiano, senza agiografie, senza amnesie, senza vuoti. Senza differenze di ideologie politiche. Isolati, volevano solo aprire squarci per una verità a tutto tondo sul nostro Risorgimento. Non contro l'italia unita, ma anche per l'Italia unita.

Studi di pochi su documenti non sempre consultati, storie bollate come esagerazioni o invenzioni. Prima fra tutte quella del brigantaggio post-unitario. Poi, attraverso la sua rubrica domenicale sul Mattino, Riccardo Pazzaglia, scrittore, commediografo, autore di canzoni famose e uomo di tv, lanciò la sua provocazione. La rubrica era "Specchio ustorio". Pazzaglia invitò "chi voleva parlare male di Garibaldi e delle sue imprese" a presentarsi al Borgo Marinaro a Napoli. Appuntamento il 7 settembre 1993. Una data simbolica: il 7 settembre 1860, Garibaldi era entrato a Napoli.

Riscoperta di radici, identità, cultura del Sud bollato sempre come "retrogrado, sottosviluppato, palla al piede dell'Italia". Pazzaglia credeva di ritrovarsi quattro gatti, si presentarono in 400. Un buongiorno di buon auspicio. In quell'occasione, Pazzaglia scrisse il testo dell'inno delle Due Sicilie, che era stato musicato da Paisiello. Poi, coniò il nome dell'associazione che inseriva nel suo statuto la riscoperta e rilettura della storia, senza amnesie: nacquero i neoborbonici.  
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sabato 12 ottobre 2013

Quando i migranti morti in mare eravamo noi, il tremendo naufragio del piroscafo "Sirio"

Gigi Di Fiore



Corpi in fila sul molo del porto di Cartagena. Senza neanche sacche di plastica a coprirne la vergogna e la dignità calpestata. Volti mediterranei, volti italiani. Uno, due, tre, la conta fu lunga. Arrivò a 293 cadaveri. Immagini del passato, immagini del presente. Centinaia di migranti africani morti negli ultimi otto giorni, in due naufragi sui barconi della speranza. Centinaia di emigranti italiani, annegati sul piroscafo "Sirio" che li portava in Brasile 107 anni fa. Ieri e oggi, storie e memorie.

Era la nave della speranza, per chi abbandonava case, famiglie e radici a cercare fortuna. In Sudamerica, come negli Stati Uniti. Il "Sirio" partì da Genova, lo guidava il capitano Giuseppe Piccone che aveva affrontato decine e decine di traversate simili in 27 anni di comando su quella nave.

"Santa Lucia luntana", cantavano centinaia di uomini, donne e ragazzi stipati nelle stive della terza classe. Meridionali, ma con loro c'erano tanti veneti, che fischiettavano "Ma se ghe pensu". Erano 1200, che avevano raccolto i loro risparmi per disegnarsi un senso di futuro. Tra prima e seconda classe, nei piani alti con sala da pranzo, c'erano appena 120 passeggeri. Il resto erano migranti, con i loro stracci raccolti e le loro memorie portate lontano.

Era il 4 agosto del 1906, quando venne dato l'allarme.  Per continuare a leggere l'articolo, vai al blog di Gigi Di Fiore su "Il Mattino"

venerdì 13 settembre 2013

Gigi Di Fiore: Lo cunto sbagliato



Quale strano scherzo trasforma un territorio in inferno? Quali menti masochistiche stravolgono terreni, aria, vita? Visitare l'area più violentata della terra dei fuochi è una scommessa con la tolleranza degli occhi e del cuore: Taverna del Re, Resit, Masseria del Pozzo, Cava Giugliano. Sembrano nomi usciti fuori da una delle novelle di Giambattista Basile. Invece sono toponimi da paesaggio lunare.

Raccontai Taverna del Re e il suo cumulo montagnoso e putrido di ecoballe tanti anni fa. Poi sono stato per Il Mattino alle proteste contro le cave, ai sit in frequentati sempre da troppa poca gente. Caivano, Giugliano, Parete, Villa Literno, Acerra. Le storie della degenerazione sono state sin troppo raccontate per ripeterle: i rifiuti tossici in arrivo dal nord, la scelta di insediare da queste parti discariche, luoghi di stoccaggio di ecoballe, aree di compostaggio rifiuti.

Era la patria della mela annurca, è diventata il rifugio privilegiato del consumo avariato che non si sa dove portare. Era la patria delle fiabe di un illustre nativo giuglianese, Gianbattista Basile. E' diventata la città-territorio dove sempre più è vietato sognare. Basile è sepolto nella chiesa di Santa Sofia a Giugliano, chissà cosa scriverebbe oggi. Di certo, non fiabe.

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mercoledì 1 maggio 2013

1° Maggio. Napoletane le prime vittime operaie


Pietrarsa 1863: Bersaglieri e Carabinieri sparano sui lavoratori


1° Maggio, festa dei diritti dei lavoratori conquistati dopo sacrosante battaglie operaie. Una ricorrenza nata negli Stati Uniti nel 1886 dopo i gravi incidenti accaduti nei primi giorni di quel Maggio a Chicago, quando la polizia locale sparò su degli operai manifestanti facendo numerose vittime.

Ma le prime vittime della storia operaia per mano governativa in realtà furono napoletane. Se scaviamo nella storia, già qualche anno prima, nell'estate del 1863, si era registrato il triste episodio di Portici, nel cortile delle officine di Pietrarsa. Una vicenda storica poco conosciuta data la copertura poliziesca della monarchia sabauda, subentrante a quella borbonica, che da poco aveva invaso il Regno delle Due Sicilie dando vita all'Italia piemontese. I documenti del “Fondo Questura” dell’Archivio di Stato di Napoli riportano ciò che accadde quel giorno. Fascio 16, inventario 78: è tutto scritto lì.

Il “Real Opificio Borbonico di Pietrarsa”, prima dell’invasione piemontese, era il più grande polo siderurgico della penisola italiana, il più prestigioso coi suoi circa 1000 operai. Voluto da Ferdinando II di Borbone per affrancare il Regno di Napoli dalle dipendenze industriali straniere, contava circa 700 operai già mezzo secolo prima della nascita della Fiat e della Breda. Un gioiello ricalcato in Russia nelle officine di Kronštadt, nei pressi di San Pietroburgo, senza dubbio un vanto tra i tanti primati dello stato napoletano. Gli operai vi lavoravano otto ore al giorno guadagnando abbastanza per sostentare le loro famiglie e, primi in Italia, godevano di una pensione statale con una minima ritenuta sugli stipendi. Con l’annessione al Piemonte, anche la florida realtà industriale napoletana subì le strategie di strozzamento a favore dell’economia settentrionale portate avanti da quel Carlo Bombrini, uomo vicino al Conte di Cavour e Governatore della Banca Nazionale, che presentando a Torino il suo piano economico-finanziario teso ad alienare tutti i beni dalle Due Sicilie, riferendosi ai meridionali, si sarebbe lasciato sfuggire la frase «Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere».  Continua a leggere questo articolo sul blog di Angelo Forgione



Il primo maggio, la rivolta nella fabbrica di Pietrarsa e quei 4 operai uccisi 150 anni fa

Ricordare i quattro operai di Pietrarsa uccisi 150 anni fa: Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Domenico Del Grosso, Aniello Olivieri.

di Gigi Di Fiore

Non ho mai amato la retorica della ricorrenza. Ma i simboli rappresentano ideali. Storie semplificate. E quale giorno, più del primo maggio, riesce a conciliare senza fastidio retorica da celebrazione con chiare simbologie dai mille significati?

Oggi più che mai, in periodo di crisi generale, diritto al lavoro, disoccupazione, rivendicazioni e drammi sociali sono temi da primo maggio.

Ma a me, con tre mesi d'anticipo, per il primo maggio piace ricordare un episodio dimenticato, legato alle lotte per non perdere il lavoro nel Sud. Fu 150 anni fa, tra San Giovanni a Teduccio, Portici e San Giorgio a Cremano.

Sì, parlo dell'eccidio di Pietrarsa, parte del prezzo pagato dal Mezzogiorno all'unità d'Italia. Simbolo di contraddizioni agli albori di uno sviluppo diseguale. Quello che di buono aveva il Sud spesso fu calpestato a favore di interessi nascenti, di mercato e di capitale, concentrati in altre zone del nuovo Regno.
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giovedì 25 aprile 2013

Il 25 aprile, le donne "liberate" in Ciociaria e la denuncia di Maria Maddalena Rossi

Al Sud, furono scritte pagine ignobili di quella guerra, per le quali non c'è mai stata piena giustizia.

di Gigi Di Fiore

Liberazione dai pregiudizi, dai preconcetti, dalle chiusure culturali. Da chi divide la realtà in bianco e nero, senza considerarne anche le sfumature di grigio. Chi guarda la storia da una sola parte e non apre le finestre della propria conoscenza su altri angoli, altri punti di vista.

Arriva di nuovo il 25 aprile, stavolta in un momento di confusione istituzionale, con la necessità di rigenerazione per tutti. Di sicuro, per l'anniversario storico abbonderanno riferimenti, simbologie, richiami a quel giorno di 68 anni fa.

Ci sono sempre aspetti oscuri, scomodi, rimossi su ogni esperienza e vicenda della storia. Anche sulla nostra Liberazione dal nazi-fascismo, al Sud favorita soprattutto dalle truppe anglo-americane, furono versate lacrime di inaspettato dolore, ricordate assai meno di altre. Continua a leggere questo articolo sul blog di Gigi Di Fiore

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domenica 21 aprile 2013

Camorristi arrendetevi, una risata vi seppellirà





di 

Camorristi, una risata vi seppellirà. E’ una nuova tendenza, uno sfottò continuo, una irriverenza che mette coraggio e si diffonde come un virus benevolo in tutti i quartieri partenopei anche quelli dove i clan dominano da sempre. “Ricordatevi che noi siamo uomini di Gomorra… i Gomorroidi”. “Scusami tu perché non stai battendo le mani. Hai qualche problema? Hai le mani di piombo. Hai qualche problema alle mani?” E poi improvvisamente irrompe una voce del compare che esorta: “Lelluccio, lelluccio sparalo, sparalo, sparalo, sparalo”. E’ una vera crisi isterica logorroica che si ferma solo quando il boss contrariato gli grida “E dammi il tempo” e lui di risposta : “One, two, three… sparalo, sparalo, sparalo”. E’ il pretesto. Scoppia una lite furibonda tra affiliati e il minacciato si salva. La parodia è forte.

Dai teleschermi della trasmissione cult “Made in Sud” in onda su Raidue ha preso vigore e potenza. In strada non è difficile sentire giovani che si esprimono con lo stesso linguaggio inventato dal gruppo cabarettistico dei “Ditelo voi” che nei dialoghi surreali, bene rappresentano le paranoie, i luoghi comuni, le codardie, le pochezze dei camorristi. Come sempre accade a Napoli, improvviso si è alzato questo vento, ora dei clan si comincia a ridere. Le rappresentazioni ironiche sono spiazzanti, le caricature si fanno irriverenti e descrivono con efficacia lo spaccato reale delle dinamiche interne dei clan che non molto si discostano dalla pochezza rappresentata nei dialoghi dei comici. E’ una reazione che mi piace. Del resto a Napoli, lo insegnava il romanzo l’“Oro di Napoli” scritto da Giuseppe Marotta e trasformato in film da Vittorio De Sica in cui Eduardo De Filippo nelle vesti del saggio don Ersilio, sosteneva che “con un pernacchio si può fare la rivoluzione”. “Si, perché il vero pernacchio è un’arte può essere di due specie di testa e di petto, vanno fusi cioè cervello e passione. Il pernacchio che facciamo deve significare che tu sei la schifezza, della schifezza, della schifezza, della schifezza degli uomini”.
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venerdì 22 marzo 2013

Camorre & politica. Cosentino, non pagherò per tutti



Mentre slitta a venerdì Santo l’udienza del Tribunale del Riesame di Napoli che deve pronunciarsi sulla scarcerazione dell’ex potente deputato del Pdl Nicola Cosentino – da venerdì 15 marzo recluso al carcere di Secondigliano – in una cella nel padiglione T1, quello riservato ai detenuti di alta sicurezza e imputato in due diversi processi con accuse che vanno dal reimpiego di capitali e corruzione aggravati dalla finalità mafiosa al concorso in associazione mafiosa – nubi grigie si addensano sul capo del suo ex compare di merende “politiche”, il riconfermato deputato Luigi Cesaro, conosciuto con il soprannome poco istituzionale di Giggino ‘a purpetta. 

Non è casuale se per la prima volta il boss pentito del clan dei Casalesi Luigi Guida soprannominato “’o ndrink”, per anni ai vertici della cosca casertana, ha deciso di parlare del potente politico di Sant'Antimo e della sua famiglia. L’ex padrino nel corso dell’udienza del 6 marzo al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha vuotato il sacco raccontando ai giudici degli interessi dei Cesaro nel comune di Lusciano e in particolare svelando accordi segreti su gare d’appalti : quella per il Pip (piano insediamento produttivi) e una riguardante un centro di riabilitazione. Esce fuori un patto d’acciaio tra politica, imprenditoria e camorra.
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domenica 10 marzo 2013

Pino Aprile: “Il Sud vive sulle spalle dell'Italia che produce. Falso!”

“Il Sud vive sulle spalle dell'Italia che produce. Falso!” è il nuovo libro di Gianfranco Viesti, uno dei migliori cervelli che il Mezzogiorno possa schierare, per confutare i luoghi comuni e i falsi dati spacciati per buoni (non so perché mi viene in mente Luca Ricolfi...). Questo lavoro segue di pochissimo, la pubblicazione di “Senza Cassa”, ponderosa ricerca su cosa è successo nel Meridione, dopo la fine dell'inervento straordinario. Il primo libro è molto divulgativo e d'attacco, bisognerebbe contribuire alla sua massima diffusione, per aiutare tutti a controbattere con dati certi a chiacchiere di bassa Lega. Il secondo libro, firmato con Francesco Prota, è più accademico, ma imperdibili.

Pino Aprile 10 marzo 2013
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sabato 2 marzo 2013

Lino Patruno: Ma chi glielo dice alla mamma calabrese?


Riepiloghiamo. Sud ancora una volta assente dalla campagna elettorale. Oddio, qualche accenno qua e là, quasi per non far vedere il contrario: una spruzzatina come polvere di cioccolato sul cappuccino. Ma mai il “big one”, il colpo finale. Per dire che, se è il principale problema del Paese, è anche la soluzione dei problemi del Paese. Però da tempo tutti hanno una terribile paura di dispiacere il Nord perdendone i voti. Nessuno essendo capace di far capire al Nord e all’Italia tutta quale vantaggio ci sarebbe se nel motore nazionale anche i pistoni del Sud potessero funzionare come gli altri. Chi glielo dice al meccanico?
 Eppure, c’è la Banca d’Italia a ripeterlo come un disco rotto. C’è la Commissione europea. Da un po’ si affanna anche Confindustria: e nessuna delle tre sembra avere uno zio o un cugino terrone. Il fatto è che non c’è buonsenso che tenga di fronte al pregiudizio verso il Sud: non produce, non paga le tasse, non vuol lavorare, vuol essere sempre assistito. Fra poco andremo su Marte, ma verso il Sud restiamo all’età della pietra (a proposito, se lassù c’è vita, e non solo il sabato sera, lo scopriremo grazie a un sensore inventato da un’azienda di Modugno, Bari).

Campania, la cambiale delle case abusive che il Pdl non sa come onorare

di  2 marzo 2013




I patti si mantengono. Le cambiali vanno onorate. Specialmente se si tratta di promesse elettorali. Ne sa qualcosa il Popolo della Libertà che in Campania per incassare consensi e vincere le elezioni ha dovuto promettere, promettere, promettere.

Il “lavoro” che ha dovuto fare il senatore e coordinatore regionale Francesco Nitto Palma è stato enorme. Affrontava una campagna elettorale senza il supporto del deputato uscente Nicola Cosentino, l’impresentabile, che ora rischia seriamente la galera. I pm partenopei hanno dato parere negativo alla richiesta di revoca della misura cautelare avanzata dalla difesa dell’ex sottosegretario all'economia. Sarà il giudice a decidere, a lui spetta l’ultima parola prima del 15 marzo data entro la quale decadrà l’immunità e l’impunità di molti. Per ora il pm nella stesura del suo parere è stato chiaro: “Non può essere la mancata ricandidatura a far ritenere annullato il potere di influenza politica di un uomo che così potente è stato per circa venti anni, soprattutto se quella candidatura è stata una decisione assunta all'ultimo secondo utile dal partito per ragioni di mera opportunità e convenienza, e non per una reale rottura o per ripudio della personalità del Cosentino”. Amen.

Il partito di Silvio Berlusconi ha vinto in Campania anche se però ha perso molti punti percentuali ben 19 rispetto a 5 anni fa. Restano le cambiali – dicevamo – cambiali onerose. E’ stato proprio il coordinatore Palma a promettere mari e monti per accalappiare i voti. A cominciare dalla “Grande Promessa” anti-ruspe, contrattata con il popolo delle 60mila demolizioni già disposte da sentenze passate in giudicato, e con quello degli abusivi.    Continua a leggere questo articolo sul blog di Arnaldo Capezzuto

mercoledì 27 febbraio 2013

Pino Aprile: Questa crisi non è economica, ma di sistema, è crisi di passaggio

Questa crisi non è economica, ma di sistema, è crisi di passaggio da una tecnologia e una civiltà (industriale) a un'altra (informatica). E il risultato delle elezioni ne fornisce una ulteriore conferma, considerando le forme di proselitismo, i leader e i diversi strumenti di comunicazione: la radio ci ha dato Mussolini e Hitler, ma anche Roosevelt; la televisione ci ha dato Berlusconi; la Rete, Grillo. È spaventoso vedere quanta distanza ci sia fra i leader e il popolo delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra e quelli del M5S (che io non ho votato). I primi due paiono usciti dalle pagine color seppia di un'antologia del secolo (e del millennio) scorso; gli altri sono il nuovo che arriva, e persino in ritardo; ma il resto d'Europa è ancora più in ritardo. In questo senso, l'Italia è ancora una volta anticipatrice.
M5S è un movimento; cosa vuol dire? Che ha dentro di tutto: destra, centro, sinistra... è unito dall'obiettivo principale: tutto il potere al capo, per dare l'assalto al maniero e conquistarlo. Ma una volta dentro, non più uniti contro il comune avversario, può subentrare disaccordo e conseguente rottura sulle cose da fare: prima questa o quella, con la destra o la sinistra? I generali conquistano con Alessandro tutti gli imperi, dall'Egitto alla Persia, ma poi se li dividono. Staremo a vedere. Quando ai voti meridionali: la strumentale “territorialità” di Grande Sud, creatura sorta a opera di chi ha sempre votato con la Lega e il signor B. contro il Sud, era troppo evidente. E non ha reso. Unione Mediterranea ha preso un taxi che ha fatto poca strada, Rivoluzione Civile. E meno male che Lino Patruno non era a bordo. Il Partito del Sud sconta ancora la mancanza di un'organizzazione, di risorse e di una struttura: non ha quella dei partiti vecchia maniera, non ha quella che sfrutta tutto il potere della Rete. Diciamo che il PdS ha un'anima e una potenzialità più grandi dei suoi mezzi. Gli altri, non pervenuti. Ma questo conta relativamente, perché la questione non è se i temi meridionalistici siano di dx, di centro o di sx: ognuno li viva e li spenda secondo le sue idee e la sua coscienza, ma diffondendone e sostenendone le ragioni. Come dico sino alla noia: il treno per Matera manca a tutti, comunque la pensino.
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domenica 24 febbraio 2013

Berlusconi, le mafie e le agende rosse per difenderci


di   -- 24 febbraio 2013

Il giornalista Arnaldo Capezzuto
L’esplosione del tritolo è solo l’atto finale. Un magistrato, un servitore dello Stato muore un po’ prima: quando è delegittimato; quando è esautorato; quando è minacciato. Le parole pronunciate da un uomo di Stato come l’ex premier Silvio Berlusconi mi terrorizzano, mi inquietano, mi turbano. “Da noi la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”. Sono parole violente, oltraggiose, mimetiche. Leggendole con freddezza, ascoltandole nella mente, guardandole singolarmente e poi mettendole insieme: mi danno bruciore e fastidio. E’ una sensazione: non mi piace il loro rumore.

Tra poche settimane ci saranno importanti sentenze. Cito una tra tutte: quella che riguarda il senatore uscente Marcello Dell’Utri. La filigrana di quelle parole è maligna, puzzano di morte. Gli occhi mi si riempiono di lacrime.

Appartengo alla generazione del 1970, una generazione disgraziata che sembra non avere il diritto alla verità. Il mio pensiero corre e si ferma a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ne potrei aggiungere tanti altri: Rosario Livatino, Rocco Chinnici e Cesare Terranova delegittimati e poi dilaniati dall'esplosivo  C’è un vento fresco di popolo che soffia e non vuole più piangere eroi perché non erano eroi, ma solo servitori dello Stato.

venerdì 22 febbraio 2013

La fiction su Modugno, Pazzaglia neoborbonico, lo sceneggiato di Alianello e la storia del Sud

Senza troppi strombazzamenti, la fiction su Domenico Modugno con Beppe Fiorello ha fatto record di ascolti. Bene, pochi sanno che mister Volare esordì alla Rai nel 1953. Allora si chiamavano sceneggiati, divisi in più puntate e con registi d’eccezione come Anton Giulio Majano. I soggetti si ispiravano a romanzi famosi. E fu così anche per l’esordio di Modugno, in un lavoro che riprendeva il romanzo “L’alfiere” di Carlo Alianello. Uno sceneggiato, che raccontava la fine del regno delle Due Sicilie dalla parte dei vinti. Con un giovanissimo Modugno, c’era anche Monica Vitti nella parte della regina Maria Sofia. Il libro di Alianello era del 1942 e fu messo al bando dal fascismo, perché “troppo disfattista”. Oggi verrebbe bollato come testo “neoborbonico”.

La vita fa strani giri e combinazioni. Il caso volle che Modugno conoscesse Riccardo Pazzaglia, scrittore, umorista, autore di testi, film e canzoni. L’uomo del “brodo primordiale” in "Quelli della notte" con Renzo Arbore. Chissà quanti sanno che gran parte dei successi di Modugno furono scritti proprio da Pazzaglia: Lazzarella, Meraviglioso, Io mammeta e tu, per citarne qualcuno. Che filo strano: Modugno esordì in tv con un testo di Alianello, coautore anche dello sceneggiato televisivo; Pazzaglia, suo grande amico, scrisse tre libri per Mondadori di ironica critica al Risorgimento. Il più noto è probabilmente “Garibaldi ha dormito qui, storia tragicomica dell’unità d’Italia”.

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mercoledì 20 febbraio 2013

Gigi di Fiore: E anche la storia dei prigionieri di Fenestrelle finisce in burlesque


Anche la storia tragica finisce in burlesque. In tempo di crisi, si sa, ogni spazio è buono, ogni idea è benvenuta per ricavare qualche euro. E l'hanno pensata così anche gli amministratori della fortezza di Fenestrelle in Val Chisone. E' un castello, fu baluardo di confine per lo Stato piemontese, poi carcere tra i più rigidi e mortali del regno sardo prima e dell'Italia unita poi.

E' ormai nota la vicenda dei soldati meridionali dell'ex regno delle Due Sicilie catturati dall'esercito piemontese nel 1860/61 e rinchiusi tra quelle mura. Una targa ne ricorda le drammatiche esperienze: a decine vi morirono. Ma non c'è storia che tenga, la festa di San Valentino è sovrana. Per gli innamorati, ben vengano le emozioni forti condite da romanticismo e suggestione. E così, come informa La Stampa di Torino, a Fenestrelle, la sera del 14 febbraio c'è stata cena a lume di candela al Café des Forcats, spettacolo di Burlesque proposto dalla compagnia The Pleasure, musica dal vivo di Frank Polacchi. Il tutto, nel palazzo degli ufficiali, a soli 60 euro.

lunedì 18 febbraio 2013

Pino Aprile: Il Ministro Profumo responsabile, come la Gelmini, di aver cancellato autori e poeti meridionali


Il ministro Profumo era consulente dell'infausta Gelmini che nelle “indicazioni” del ministero a docenti e case editrici scolastiche, per l'insegnamento della letteratura italiana del Novecento nei nostri licei, fece sparire tutti gli autori e i poeti meridionali, incluso i premi Nobel per la letteratura, come Quasimodo e Deledda.

Divenuto ministro (e la gelminiana Ugolini sottosegretaria), Profumo non corresse la porcata gelminiana, nonostante interrogazioni parlamentari, polemiche giornalistiche, documenti approvati dalle Regioni meridionali (la Puglia tacque), consigli comunali di grandi città del Sud.

Ora, mentre Maroni propone le macroregioni, Profumo, più leghista di lui, le fa e, naturalmente: “Prima il Nord”, anzi “Solo il Nord”. E questo sarebbe un ministro di governo “tecnico” e dimissionario!!

Il peggio che possa accadere a una comunità è perdere il senso della vergogna: ti ritrovi le mignotte in Parlamento, i puttanieri a testimoniare i valori della famiglia cristiana al Family-day benedetto dal Vaticano, le sindachesse anti-'ndrangheta escluse dalle candidature dal loro partito, per far posto a un “membro dell'apparato” catapultato in Calabria dal Nord e Profumo ministro alla (d)Istruzione della decenza.

Pino Aprile

Lino Patruno: Eppure anche Cristo si è mosso da Eboli



Finalmente abbiamo capito cosa manca al Sud: il grillo parlante. E non perché un Pinocchio li abbia sterminati tutti a scarpate. Ma perché nessuno si metterebbe a fare il rompiscatole che disturba il sonno altrui. E non tanto per educazione, quanto per la convinzione che nulla possa cambiare, che non valga la pena. Ciò che fa dire a Tomasi di Lampedusa nel suo “Il Gattopardo” che, di fronte a un problema, il Sud non si chiede “come” risolverlo ma “perché” risolverlo.

 Dal “Gattopardo” è passato qualche annetto, e il Sud non è più quello. Figuriamoci che anche Cristo si è mosso da Eboli, non è più fermo alle soglie di un Sud visto dalla penna di Carlo Levi solo come regno di morte. L’assenza del grillo parlante ha però alcune conseguenze.


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Gigi Di Fiore: Lo slogan della Lega sul "Sud improduttivo", la provocazione di Pazzaglia e il marchio dispregiativo di "neoborbonico"

"Basta Sud, ci trascina nell'abisso", ha ripetuto sabato, a mo' di spot elettorale, Luca Zaia, governatore leghista del Veneto. Ammiccamenti allo zoccolo duro dell'elettorato che fu di Bossi e oggi è di Maroni. Slogan collaudati, contro chi, nelle regioni meridionali, "non produce, non paga le tasse, non ha voglia di lavorare e vive di assistenzialismo".

Inutili le repliche a quei luoghi comuni che hanno presa facile su un certo elettorato al Nord, quando non c'è con chi fisicamente prendersela (oltre le banche, la finanza, i "poteri forti") per la crisi e i sacrifici economici da sopportare. Erano quattro gatti, pochi amici al bar e al ristorante, come il famoso "Il Carroccio" a Dalmine in provincia di Bergamo. Parlavano di radici del Nord, storia, identità, prima che di politica. Sono diventati la Lega nord, unendo movimenti diversi (primo fra tutti la Liga veneta, che li aveva preceduti tutti), trasformandosi poi in partito di governo e di potere nelle regioni settentrionali.

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sabato 16 febbraio 2013

Gigi Di Fiore: Ancora Gaeta 152 anni fa, la fine delle Due Sicilie, i viaggi di Monti al Sud e le politiche sul Mezzogiorno

Tre viaggi soltanto. In un caso, per un funerale. Il bilancio delle visite di Mario Monti da premier nel Mezzogiorno porta il numero tre. Certo, meglio del primo capo di governo italiano, Camillo Benso conte di Cavour, che non ebbe il tempo di vedere Roma e Napoli. Morì prima, senza essere mai sceso in quel Sud che gli aveva dato tanti problemi.

Italia e Mezzogiorno, 152 anni di rapporti difficili: pregiudizi, stereotipi, “questioni economico-sociali” sollevate dopo l’unificazione, criminalità. E soluzioni a colpi di leggi speciali. La prima, 150 anni fa, fu la legge Pica: nove articoli per la repressione del brigantaggio, come fu definita la guerra civile (“guerra contadina”, la considerava invece il piemontese Carlo Levi), che insanguinò con migliaia di morti le regioni meridionali dal 1861.

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venerdì 15 febbraio 2013

Lino Patruno: Dal Sud 12 domande ai candidati alle elezioni

Dedicato a chi andrà a votare e vorrebbe che si facesse qualcosa per il Sud. Cioè per il grande assente nei programmi dei partiti, tranne sporadiche righe fra le <varie ed eventuali>. Allora ciascuno si appunti le seguenti domande. E cerchi di capire chi eventualmente risponde dicendo qualcosa di meridionale.
1. L’Italia non cresce da almeno vent’anni. E si è sempre pensato che potrà crescere se riprenderà a farlo la locomotiva del Nord. Senza nulla togliere ai grandi meriti del Nord, ritiene che continuare a puntare su una sola parte del Paese sia ancòra la scelta giusta?
2. Mettiamo che l’Italia sia un’azienda davanti alla crisi. Ritiene che per superarla debba continuare a puntare sui settori che già vanno meglio ma non possono andare oltre (il Nord), o non debba invece rafforzare i settori finora meno curati e quindi con le potenzialità maggiori (il Sud)?

giovedì 14 febbraio 2013

Gigi Di Fiore: Gaeta 152 anni fa, la fine delle Due Sicilie e le 2 rievocazioni di associazioni e storici

E' un luogo simbolico per la storia del Mezzogiorno. Ogni anno, a Gaeta, si riuniscono associazioni e cultori di storia, a ricordare che, in quella città (oggi nel Lazio, ma 152 anni nel regno delle Due Sicilie), la storia secolare del Sud autonomo divenne storia d'Italia.

L'assedio di Gaeta, tre mesi con oltre mille morti in divisa e centinaia di civili massacrati dalle bombe. Italiani contro italiani, due eserciti regolari contrapposti: quello piemontese del re Vittorio Emanuele II e quello delle Due Sicilie del re Francesco II cugino del primo. Oltre 55mila granate furono scaricate sulla piazzaforte, che rispose con 35250 colpi. Dodicimila irriducibili in divisa pensarono che il loro giuramento fosse a Francesco II di Borbone e che la loro vera patria fosse quella delle sei regioni peninsulari del sud più la Sicilia. Contro di loro, ad assediarli, trentamila militari dell'esercito ancora sardo-piemontese.

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