sabato 28 giugno 2014

La morte di Ciro, i silenzi sulle responsabilità e il conformismo dell'informazione

Scorrevano le immagini televisive di quella mamma, che ancora una volta dava esempio di dignità e amore. Scorrevano, mentre Ciro di lì a poco sarebbe morto. Scorrevano mentre, nei processi ai Mondiali in onda in quelle stesse ore sulla Rai, si parlava di sconfitta dell'Italia con l'Uruguay.

Un commentatore si diceva dispiaciuto che le condizioni di Ciro fossero ormai senza speranze, ma poi aggiungeva - parola più, parola meno - "sì, però, le immagini di quel Genny la carogna non le vorremmo mai più vedere".

Ancora, di nuovo, come tanti altri prima. Genny la carogna e la pigra e facile equazione dell'ultrà napoletano vicino alla camorra, del violento buzzurro (il fisico e il look, di certo, non aiutavano quel Genny a sfuggire alla semplificazione mediatica), di chi aveva tenuto uno stadio intero sotto scacco.

Roba di quasi due mesi fa, l'oggi è Ciro Esposito morto. L'oggi è un funerale affollatissimo a Scampia. L'oggi sono ancora le parole riconcilianti della mamma di Ciro e dei suoi zii. E allora chiediamoci cosa abbia significato, per commentatori e narratori, questa vicenda.

I luoghi comuni sulla Scampia tutta regno del male ne sono usciti a pezzi. La famiglia Esposito ne era la negazione, l'opposto: facce pulite, gente perbene, lontanissimi dal folklore. Poi, c'era stato quel Genny, alibi e rifugio per pigrizie intellettuali e scarsa comprensione su quello che era accaduto. Paginate intere a chiedere inasprimenti di pene per il Daspo, stadi sicuri, ultrà da allontanare.

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