venerdì 30 maggio 2014

Marco Esposito: Il Sud in crisi rinuncia a fare figli

(da "Il Mattino" del 29 maggio 2014, pag 1 e 13.)

Marco Esposito, foto profilo Facebook
«Imprevedibile». Il vocabolario per descrivere la crisi nella quale è immerso il Mezzogiorno si arricchisce di un nuovo termine: secondo l’Istat era «imprevedibile nella rapidità con cui si è realizzato» l’abbandono nel Mezzogiorno di comportamenti tradizionali consolidati, come metter su famiglia. Nel Sud Italia si assiste infatti a quello che viene definito un «disinvestimento riproduttivo»: il no ai figli per le donne nate dal 1982 in poi.

Di fronte alla crescente sfiducia, si legge nel Rapporto annuale Istat presentato ieri, la rinuncia a procreare diventa «l’unico strumento rimasto a disposizione di questi giovani adulti del Mezzogiorno, donne e uomini: lo spostamento dell’investimento in capitale umano dal loro futuro al loro presente, dai loro potenziali discendenti a se stessi». E se alle poche nascite si unisce l’emigrazione il risultato è un territorio abitato da anziani. L’Istat stima che nel 2041 nel Sud Italia ci saranno tre vecchi per ogni giovane.

Parole dure, analisi non rituali che fanno del Rapporto Istat di quest’anno, illustrato ieri alla Camera, quasi un Rapporto Svimez. La crisi dell’Italia c’è ed è innegabile ma il Mezzogiorno non è soltanto il posto dove i problemi nazionali sono un po’ più intensi, come a volte semplicisticamente si vuole far credere, perché è in atto una vera e propria mutazione antropologica del territorio. «La crisi peggiora i divari territoriali», sintetizza l’istituto presieduto da Antonio Golini.

per continuare a leggere l'articolo di Marco Esposito, cliccare sul link

Il Sud in crisi rinuncia a fare figli




sabato 10 maggio 2014

Rabbia e orgoglio napoletano: giù le mani dalla nostra gente


Prof. Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico

Giù le mani dalla nostra gente. Giù le mani da quel ragazzo napoletano che lotta in quel letto di ospedale perché qualcuno con una bandiera che non era azzurra aveva deciso di strappargli la vita a 30 anni e proviamo solo a immaginare se succedeva il contrario.

Giù le mani da quei 30.000 che riempivano quello stadio a Roma e da quelli che riempiono ogni domenica anche gli altri stadi sotto la pioggia o sotto il sole carichi di amore e di speranza di un riscatto che è sempre un riscatto pure se passa per un pallone.

Giù le mani da quelli delle curve perché in curva i biglietti costano meno, perché in curva (lo so bene) si sta tutti insieme se sei professore e se sei disoccupato, se sei bambino, vecchio, medico o camorrista ed è forse l’unico irripetibile posto dove ci batte forte il cuore a tutti nello stesso momento e per lo stesso motivo senza chiederci chi è e che fa quello che sta vicino a noi.

Giù le mani anche, in fondo, da quei tifosi aggrappati a quei cancelli sabato sera e che qualcuno ha chiamato per rassicurare tutti gli altri, perché loro davvero erano preoccupati e tristi per Ciro e per Ciro non hanno cantato e non hanno esposto gli striscioni e le bandiere e da Ciro sono andati senza neanche vedersi la partita.

Giù le mani perché è anche questa la gente mia, coi soprannomi che pure se sono brutti sono quelli dei nostri padri che pure se non sono stati perfetti sono sempre i nostri padri.

Giù le mani da quella gente di Scampia o di Forcella o della Sanità che da 150 anni se li sono scordati e se li ricordano solo se devono sbatterli davanti ad una telecamera o su un giornale o se devono scrivere i loro nomi come fanno i giudici per mandarli in galera o lontani dal “campo” e quei giudici somigliano assai a quelli che ieri segnavano i nomi dei nonni dei loro nonni e li chiamavano briganti e pure li mandavano via lontano o se ne liberavano per sempre con lo stesso disprezzo.




lunedì 5 maggio 2014

Gigi Di Fiore: I fischi dell'Olimpico all'inno di Mameli e quei segnali da interpretare

C'è un ragazzo che rischia di restare paralizzato alle gambe, ci sono le immagini di uno stadio in attesa di sapere cosa era successo a quella vittima di un folle che ha potuto sparare senza difficoltà. Poi, c'è la maglietta nera con la scritta "Speziale libero" e la figura del capo ultrà napoletano che la indossa, che sembra dover assorbire tutto il resto.

Notte di finale di coppa Italia, notte romana di due giorni fa, notte di calcio incomprensibile. Come quando, proprio chi ha sparato al ragazzo napoletano, scendeva in campo a mediare e trattare con Totti, poco prima del derby romano che fu giocato solo con il placet della tifoseria.

Notte dove è facile non capire, dove confluiscono tanti diversi frammenti di realtà. Tanti umori e apparenze. Dove si riconiuga l'equazione camorra infiltrata nella tifoseria ultrà e si dimentica che tutto lo spettacolo è andato in onda sotto gli occhi del presidente del Consiglio, del presidente del Senato, di rappresentanti di più istituzioni.

Per continuare a leggere l'articolo, vai al blog di Gigi Di Fiore su "Il Mattino" online facendo clic su questo link.