domenica 6 dicembre 2015

Amministrative in Bretagna: i Meridionalisti Democratici sostengono l’Unione Democratica Bretone!


Il logo dell'Union Démocratique Bretonne 
Alessandro Citarella

Oggi, 6 dicembre 2015, si tiene il primo turno delle elezioni regionali in Francia. I sondaggi indicano che dei 44 milioni di cittadini che hanno diritto al voto in questo turno elettorale, circa la metà si asterrà.  Ricordiamo che si vota fino alle 20 di questa sera.

La legge elettorale francese applicabile in queste regionali prevede che il partito che otterrà la maggioranza assoluta dei voti al primo turno riceverà in primo luogo un quarto dei seggi, mentre i restanti seggi saranno distribuiti secondo il metodo proporzionale fra tutti i partiti che avranno superato lo sbarramento del 5%. Tuttavia, se nessun partito conquistasse la maggioranza assoluta dei voti, ci sarà bisogno di un secondo turno in cui potranno partecipate solo i partiti che avranno preso più del 10% durante la prima tornata.

Ci attendiamo, purtroppo, una generalizzata affermazione della destra xenofobo e razzista, sia per la forte richiesta di sicurezza dopo gli attentati di Parigi di pochi settimane fa, sia per le divisioni interne alla sinistra, certamente esasperate anche dalle decisioni governative in linea con politiche liberiste e filo-finanziarie, piuttosto che progressiste e attente al sociale.

I Meridionalisti Democratici-federalisti europei seguono, in particolare, con grande attenzione le elezioni che si tengono in Bretagna per quanto accomuna i nostri due popoli.  Entrambi sono vittime del colonialismo e del neo-colonialismo, dove i rispettivi stati, francese e italiano lavorano per la cancellazione dell’identità.  I nostri popoli hanno bisogno di abbracciare una visione sociale progressista, di difesa dell’ambiente e di rilancio e riscatto delle proprie tradizioni economico-culturali, inserendole in un sistema europeo di cooperazione e di rispetto per l’uomo e per i territori in cui esso vive, e in forte contrapposizione con l’ideologia della concorrenza liberista. Ogni popolo deve essere libero di determinare la propria esistenza sulla base delle proprie scelte e della propria storia e cultura, in una visione di rapporti di pace basati sì sullo scambio di merci e servizi, ma che abbia regole etiche basate sul rispetto per l’essere umano, con una distribuzione del benessere, materiale e non, seguendo una visione della vita alternativo a quella consumistica governata e sostenuta da forze economico-finanziarie.

Le liste dell’Unione Democratica Bretone (UDB) vedono presenti giovani militanti, e questo è un segno ed un segnale forte del lavoro culturale e politico fatto negli ultimi decenni in Bretagna, rendendola una regione modello sotto gli aspetti della qualità della vita e del rispetto di tutti i principi che prima abbiamo enunciato.

Sosteniamo quindi il percorso politico dell’UDB e l’identità bretone per una Europa dei popoli e non della finanza e delle multinazionali.

Gwenn ha du, letteralmente “bianco e nero”, è la bandiera bretone realizzata da Morvan Marchal nel 1923. Le sue 5 strisce nere rappresentano i 5 antichi vescovadi dell'Alta Bretagna: Rennes, Nantes, Dol, Saint-Malo e Saint-Brieuc. Le 4 strisce bianche rappresentano i vescovadi della Bassa Bretagna: Léon, Cornouaille, Vannes e Tréguier. Gli ermellini evocano l'antico ducato, poiché questo piccolo animale era un simbolo del potere.
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Dal sito ufficiale dell'UDB:

"La Unione Democratica Bretone è un partito politico di sinistra, bretone ed ecologista. La sua attività è finalizzata ad attribuire rilevanti poteri regionali, per l’autonomia nell’ambito della Repubblica Francese e in una Europa federale.
Presente in tutte le consultazioni elettorali, l’UDB intende applicare politiche solidarie in favore dello sviluppo duraturo dell’economia e della società bretoni. L’UDB auspica la riunificazione della Bretagna in cinque dipartimenti, con la Loire-Atlantique."



sabato 7 novembre 2015

Masterplan per il Sud. Il nuovo bluff di Renzi

Alessio Postiglione

Masterplan per il Sud. L’ennesimo bluff di Renzi. Non c’è un giornale che oggi abbia fatto i conti al pippone del governo, ripubblicato pari pari dai principali quotidiani. Questo riguarda l’incapacità di molti colleghi di leggere i dati, ma andiamo avanti… il governo approva la programmazione con vari mesi di ritardo e la spaccia per un piano di interventi straordinario.

Non c’è nulla di straordinario, ma si parla di 95 miliardi che SPETTANO al Mezzogiorno (cifra molto più bassa delle risorse pubbliche stanziate per il resto del Paese) e si fa riferimento ad altre informazioni empiricamente non verificate. Come, ad esempio, il moltiplicatore speciale che dovrebbe innescarsi sui progetti del Piano Juncker: progetti che nessuno conosce e che generalmente saranno al Nord, dato che si tratta di investimenti che devono essere in grado di finanziarsi sul mercato e che, a nel profondo Sud, se non è lo stato a fare l’imprenditore, è difficile innescare processi di sviluppo.

Addirittura risibile è il riferimento agli investimenti di Eni, Enel, Finmeccanica e Fincantieri, dato che il governo, anche qui, parla di interventi “market oriented”. Si tratterà, dunque, di finanziamenti per trivellazioni, sfruttamenti off shore e on shore che il governo eufemisticamente definisce “chimica verde”. Si parla, lungamente, di gassificatori e pipeline, ma non si parla delle royalty che dovrebbero andare al Sud.

Alla fine il Masterplan si ridurrà all'utilizzazione di Cassa depositi e prestiti per finanziare la banda ultra larga attraverso una società veicolo privata, la Metroweb, che ovviamente cablerà Napoli e Bari, ma non il resto del Sud. Investimenti pubblici attraverso società private: una mostruosità di cui spero qualche giornale vorrà parlare.

Continua a leggere l'articolo di Alessio Postiglione sul suo blog facendo clic su questo link

sabato 3 ottobre 2015

Gigi Di Fiore: Petrolio in Val d'Agri, la Lucania alla guerra delle trivelle

Gigi Di Fiore

(pubblicato su "Il Mattino" del 3 ottobre 2015)

È nera la Madonna del trecentesco santuario di Viggiano. Nera, quasi per predestinazione divina, come quel liquido che sgorga dalle viscere della terra e, nel bene e nel male, condiziona la vita della valle. C'è il petrolio in Val d'Agri.

Qualcosa come il 70 per cento delle riserve italiane, un Bengodi insperato per tutta la penisola che ne ricava il 10 per cento del fabbisogno energetico nazionale. La Madonna dal volto scuro, comune a tanti luoghi del Sud, è «patrona e regina» della Basilicata, il petrolio ne sta diventando croce e delizia. È tutto concentrato in un grosso quadrilatero, stretto da Brienza in alto, Marsico Vetere a sinistra, Corleto Perticara a destra e il lago del Pertusillo in basso. Nel cuore, sulla terra rigogliosa che fu dominio del brigante Scopettiello, c'è Viggiano. Sembra strano che, proprio quando Carlo Levi descriveva la fiera civiltà contadina lucana dell'orgoglio e dei silenzi, da queste parti già l'Agip aveva cominciato le sue ricerche di idrocarburi. E, quasi vent'anni fa, a Viggiano cominciava la prima lavorazione del petrolio.

Poca cosa, rispetto a quello che oggi è il Cova (Centro olio Val d'Agri), vasto agglomerato da perdersi in tubature, invasi, uffici. Le guardie giurate ne sono custodi attenti. Centro chilometri di condotte, ben 27 pozzi che danno greggio, una produzione giornaliera aggiornata di continuo: 84619 barili riempiti ieri, 2 ottobre. Tutto questo, incastrato in luoghi da incanto, non lontano dal Parco nazionale Val d'Agri lagonegrese, appartiene al 70 per cento all'Eni e al 30 alla Shell Italia. La loro ultima concessione scadrà il 26 ottobre del 2019, facile intuire che verrà rinnovata. Il petrolio viene estratto e, attraverso condotte sotterranee, arriva alla raffineria Eni di Taranto. Il gas metano, invece, viene immesso nella rete di distribuzione Snam. L'acqua di stato che, spiegano i tecnici Eni, è una sorta di «acqua fossile» che era nel sottosuolo a contatto con il greggio, viene riportata nel terreno al pozzo «Costa Molina due».

La Lucania saudita è qui, ma il Dime (Dipartimento Sud dell'Eni), che gestisce tutto, ha trovato casa in un bel convento antico nel cuore di Viggiano. In tutto, vi lavorano 409 persone tra cui 208 lucani. Con l'indotto si arriva ad un'occupazione di 3.530 persone. Eppure, suona davvero strano che una regione con tanto oro nero, con uno stabilimento a Melfi in grado di produrre la famosa jeep Renegade marchiata Fiat Chrysler, resti fanalino di coda nelle classifiche di reddito nazionali. Le compagnie petrolifere esibiscono cifre da royalties consistenti: 195 milioni di euro vanno alla Basilicata, con l'ultimo incremento dal 7 al 10 per cento.

Continua a leggere l'articolo di Gigi Di Fiore facendo clic su questo link


domenica 27 settembre 2015

Lino Patruno: Masterplan per il Sud un film già visto

Lino Patruno

Tutti a suonare la grancassa sulla previsione dell’aumento del Pil quest’anno. Il reddito nazionale crescerà dello 0,7 per cento, si dice. Qualche kamikaze arriva fino allo 0,9. Bel risultato comunque, dopo che il Paese è arretrato per sette anni. Significa che hanno ripreso a macinare le fabbriche, a fiorire le campagne, a funzionare i servizi, a crearsi lavoro. Frutto anzitutto dell’esportazione. Ma anche della ripresa dei consumi interni, la gente ricomincia a spendere. Come avvenuto soprattutto questa estate, e non solo per il turismo. Significa che se prima c’era qualche soldino ma non la fiducia, ora c’è quel soldino ma anche la fiducia.

 Però i piedi per terra non fanno mai male, specie di fronte alle trombe della politica. Come sempre siamo gli ultimi fra i primi, la nostra ripresa è la meno ripresa d’Europa. Le cui previsioni vanno al di là sia dello 0,7 che dello 0,9. Una cautela che potrebbe costare l’etichetta di gufi. Ignorando che c’è un segreto di Pulcinella per capire come potremmo evitare di essere vagone di coda.

 Il segreto è che la locomotiva italiana avesse ovunque la stessa velocità. Perché quello 0,7 o quello 0,9 sono una media, c’è chi va più forte e chi più piano. Sogniamo ad occhi aperti. E vediamo che succederebbe senza le due velocità. Supereremmo di gran lunga il 2 per cento. Senza essere più snobbati da una Germania o da una Gran Bretagna. Saremmo finalmente ciò che possiamo essere e non siamo perché abbiamo scelto così. Restiamo così pur di non fare giustizia.

 Fare giustizia significa consentire al Sud di crescere quanto il resto del Paese. Basta col ritornello che la ripresa c’è ma non al Sud. Dando al Sud i mezzi che non ha oltre che attendersi che si rimbocchi le maniche eccetera eccetera. E ricordando che nella storia recente mai il Centro Nord è cresciuto oltre il minimo sindacale se non cresceva anche il Sud. E che il declino del Centro Nord e dell’Italia è coinciso sempre con l’arresto del Sud. E che non sono necessari i fior di premi Nobel che ne hanno parlato per capire che nessuna economia al mondo (come nessuna famiglia) si rafforza se non punta sulle sue sacche più deboli.

 L’Italia è stata la Germania quando la Cassa per il Mezzogiorno ha fatto crescere il Sud più del solito Nord. E quanto alla Germania, anche lì si diceva che l’Est ex comunista non aveva la mentalità per crescere. Finché sono intervenuti massicciamente (venti volte più della Cassa) e anche lì si è capito che la mentalità era solo un pregiudizio razzistico che fa danno per primo ai razzisti.

 La cecità di Lega & Compagnia è una cecità che non esclude altri, a cominciare dal Pd. Quella secondo la quale se il Sud non cresce, è un problema solo dei meridionali. E che del Sud si possa fare a meno. Un egoismo convinto che tenersi i propri soldi, pensare alla propria gente, curare il proprio territorio preservi dalle crisi. La recessione appena alle spalle è stata la secchiata d’acqua si spera benefica.

 Ma mica tanto, a quanto pare. Si parla in questi giorni di Masterplan per il Sud. Se ne parla più di quanto lo si veda. Masterplan (cioè il piano dei piani) dopo l’allarme della Svimez sul rischio di sottosviluppo permanente del Sud. E di desertificazione fra giovani che vanno via, vecchi che muoiono, figli che non nascono, aziende che chiudono. Toni contestati da chi giustamente ricorda che nonostante tutto il Sud è anche altro. Senza poter negare però i tanti inossidabili segni meno, a cominciare dalla disoccupazione. Ecco allora la gamba tesa dello spiccio Renzi.

 Ma man mano che i giorni passano, la sensazione del film già visto per il Sud è sempre più forte. Diciamolo chiaro e tondo. Sgravi fiscali, incentivi, facilitazioni alle aziende sembrano i cavalli di battaglia di questa ripresa di interesse per il Grande Ignorato nazionale. Per convincere le aziende a investire a Sud. E assumere. Ma essendo avvenuto, quando è andato in scena lo stesso film, che finiti gli incentivi sia finita la festa. Né un film diverso è l’annunciata accelerata alle opere sùbito cantierabili e ai progetti già pronti, cioè roba non nuova che dovrebbe essere già conclusa. Ricordando le analoghe illusioni di tutte le Leggi Obiettivo e di tutti gli Sblocca Italia della nostra cronaca di ieri.

 Non bisogna dire sempre no, è già qualcosa. Ma occorre mettersi in testa che non ci sarà mai la svolta per il Sud finché lo Stato non farà al Sud quanto altrove: a cominciare dalla spesa pubblica. Strade e treni, banda larga per i computer e scuole, università e ospedali. Stesse infrastrutture e stessi servizi pubblici. Stessa presenza dello Stato di diritto contro illegalità e mafie. Tutto ciò che ora non c’è, altrimenti il Masterplan è già fallito. Cercasi vista lunga per una unità mai fatta. Solo allora il Sud non avrà più alibi. Ma neanche il Paese che lo tratta da malattia mentre è la terapia per tutti.

Originale pubblicato sulla "Gazzetta del Mezzogiorno" il 18 settembre 2015

sabato 5 settembre 2015

Lino Patruno: La freccia boomerang

Pagherete la beffa della Freccia Rossa    

Lino Patruno

Se non è comica, è tragica. La cosiddetta alta capacità ferroviaria fra Bari e Napoli. Ora tutti contenti (allegria) perché dopo due anni di stop pare che questo settembre possano riprendere i lavori nel tratto pugliese Cervaro-Bovino. Sono i primi 23 chilometri del percorso tra Foggia e Caserta (163 chilometri) che dovrebbero essere serviti da quell'autentico prodigio del doppio binario. Tutta qui la decantata grande opera, mica i treni superveloci che hanno al Nord ma non al Sud perché il Sud è di serie B.

Se non ci saranno altre fermate, l’obiettivo è davvero epocale: missione completata nel 2028, anzi 2030 visti i due anni persi. Nel 2030 probabilmente l’uomo sbarcherà su Marte. Ma anche il Sud potrà festeggiare non andando più fra le sue due capitali alla velocità media di 53 chilometri orari come ora. I sogni prima o poi si realizzano: fu Garibaldi nel 1860 a dire che questo era un progetto prioritario, collegare il Tirreno con l’Adriatico. Detto e fatto: 170 anni.

Nel frattempo, Napoli e Bari sono state debitamente tenute lontane fra loro, avessero pensato di allearsi per farsi rispettare. Debitamente lontane anche Calabria e Sicilia: autostrada Salerno-Reggio Calabria sempre in costruzione da 53 anni e sono sistemate. Dal lato jonico, una dissuasiva statale arlecchino: quattro corsie, due, attraversamento di paesi con Autovelox in agguato, passo d’uomo se becchi un camion davanti. E sui paralleli binari sempre a rischio mareggiate, romantiche littorine coi sedili in legno e l’odore di formaggio buono.

Però basta coi piagnistei: ora arriva il Frecciarossa, addio Frecciabianca. Da Bari a Milano, niente Lecce perché non c’è mercato, come se si potessero avere passeggeri se prima non ci metti il treno. Frecciarossa è quello che va a 350 l’ora. Ma per non viziare il Sud, solo da Bologna a Milano. Però è già qualcosa, via, si risparmia più di un’ora. Partenza da Bari alle 16,20, arrivo a Milano alle 22,50. Ripartenza da Milano il giorno dopo alle 7,50, arrivo a Bari alle 14,20. Ma come, se a Milano ho bisogno di starci solo una mattinata, devo fare due pernottamenti? Ecco il solito piagnonismo meridionale, non si accontentano mai. Per chi viene da Milano, il pernottamento è uno. Ma non l’avranno mica fatta apposta.

Il Sud piuttosto si dia da fare con le opere che potrebbero andare avanti ma per le quali non è capace di spendere (ne ha parlato nei giorni scorsi Andrea Del Monaco su queste pagine). Quelle con i fondi europei, mentre nel resto d’Italia si fanno con i fondi nazionali: se così fosse anche al Sud, i fondi europei potrebbero davvero essere aggiuntivi e servire a tutto il resto che c’è da fare. Ma sarebbe la solita pretesa del Sud di non essere di serie B.

Per restare alla Puglia, il presidente della Regione dovrebbe chiamarsi un po’ di gente e farsi fare un resoconto. Chiedere ad esempio a Ferrotranviaria, Ferrovie del Sudest, Interporto, Ferrovie Appulo Lucane perché hanno bloccati o in ritardo lavori fondamentali per pendolari, studenti, imprenditori, turisti che potrebbero andare di qua e di là creando movimento economico e sviluppo. E non è che non ci siano i soldi, forse essendoci invece incapacità da punire mandando qualcuno a casa. Cosa rispondere in questi casi al governo che accusa il Sud di spendere male o di non saper spendere?

Poi vai a scavare, e ti accorgi che quanto a inettitudine il governo brilla di suo. L’Anas con le strade sempre a rate (vedi la mitica spezzettata Bari-Altamura). Rete Ferroviaria con lo spasimato raddoppio del binario Termoli-Lesina. La stessa Rete Ferroviaria con l’Autorità portuale per il porto di Taranto. Dove i lavori promessi e mai eseguiti hanno fatto scappare i container di Evergreen e ora rischiano di lasciare disoccupati oltre 500 lavoratori. Alla faccia del Sud decantato come piattaforma logistica naturale nel Mediterraneo. E con un’ulteriore beffa, legata al raddoppio del canale di Suez (completato in un anno, ma quello è Egitto non Italia). Visto che ora vi passerà metà del commercio mondiale, lo stesso impunito governo segnala i porti del Nord all'Europa che vuole sapere quali finanziare per acchiappare quelle merci. Perché i porti del Sud non sono pronti (e sfido), a cominciare da Taranto. Anche qui missione compiuta tra serie A e serie B.

Allarme da codice rosso. In attesa del piano di Renzi per il Sud, qualche malpensante sospetta che possa consistere nel realizzare le opere delle quali si è testé parlato, magari muggendo che bisogna accelerare. Cioè fare ciò che da tempo lo Stato avrebbe dovuto fare e distribuendo patenti di piagnisteo qua e là. Non sarebbe la prima volta. E non sarebbe la prima volta fra le trombe della Fiera del Levante. Cosa sia avvenuto dopo, lo sappiamo tutti. Di serie B eri, di serie B devi rimanere. Ma anche l’illuso resto d’Italia, che senza il Sud è sempre in zona retrocessione europea.

Fonte: il blog di Lino Patruno sulla Gazzetta del Mezzogiorno, 4 settembre 2015

mercoledì 12 agosto 2015

Pino Aprile: Luigi de Magistris fa al PD la mossa del cavallo


di Pino Aprile

Ora il Pd comincia ad aver paura vera: la mossa di Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli, che ha dichiarato la sua città “Derenzizzata”, viene fatta passare come folcloristica, ma è devastante per i tartufismi, le complicità, l'eccessivo attendismo dei dirigenti meridionali del partito.

Tutto il Sud è in mano al Pd, ma il rischio e il sospetto è che, per salvare se stessi o meritare un ruolo nazionale, quei governatori possano operare più per “tener buono il terrone”, che per rendergli giustizia. Non è così? Devono dimostrarlo e anche presto, altrimenti se pur facessero bene, si penserebbe che vi si riducano solo per non restare al palo, perché costretti, per convenienza e solo finché conviene e non possano farne a meno.

Già adesso è quasi tardi, perché i governatori del Sud si incontrino, stilino un piano di rinascita del Sud e dettino l'agenda al governo (qualcosa del genere aveva suggerito Emiliano, ma della cosa, poi, si son perse le tracce). Altro che mila-mila miliardi del “vertice Pd” e pubblicazione integrale del discorso dell'“Amato leader” sulla Pravda risorta.

La mossa di De Magistris li mette tutti fuori gioco. E Gigino va veloce e sa parlare al popolo: lo si può e talvolta lo si deve discutere, ma tempo non ne perde e non gli va di perdere. Non so come finisce (ma un po' lo immagino), se De Magistris si propone come leader del Sud, alle molte anime e associazioni, partiti e partitini meridionalisti di ogni colore, e ai delusi del Pd.

Il progetto di una formazione politica meridionalista, il Pd del Sud, che Michele Emiliano cercò di varare includendo De Magistris, e che non partì allora, perché la ferocia del partito contro il Mezzogiorno era mascherata, potrebbe nascere adesso, perché a quella ferocia si aggiungono l'arroganza, l'insulto e la presa in giro (“piagnistei”, “rimboccarsi le maniche”) del fanfarone di Firenze, Renzi, e del Distratto di Reggio Emilia, Delrio (non vede la mafia dilagare nella sua città e aspetta l'analisi delle rocce terrone per decidere se far arrivare il treno a Matera).

Una coppia convinta che comandare (almeno fosse stato eletto e non nominato da un grembiulino, 'sto Renzi) sia imporre, esercitare prepotenza. Così, mentre il Sud rischia di esplodergli in faccia e Napoli annuncia battaglia per la gestione della bonifica dell'area ex-siderurgica di Bagnoli, lui se ne sbatte e insiste nella nomina di un commissario governativo, che espropri la città. Come dire: non è cosa vostra, ma cosa nostra. E forse si potrebbe già fare l'elenco dei potentati “amici” pronti a spolparsi Bagnoli, e in quali percentuali ciascuno.

Se così andassero, si potrebbe porre un problema serio per i governatori meridionali, soprattutto Michele Emiliano: o difendere l'indifendibile Renzi, facendo blocco per il partito, contro De Magistris; o anticipare De Magistris, ma sapendo di essere meno credibili e veloci di lui, perché appesantiti da un partito ostile; o, addirittura, saltare il fosso e, con De Magistris, ribaltare il tavolo.
Non cambierebbe il Sud, ma l'Italia.

P. S.: Graziano Delrio ha già cancellato l'Alta velocità a Sud e i governatori stanno zitti da tre giorni. Distratti o complici? Vedremo domani...

Fonte:  Terroni di Pino Aprile (Facebook)

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L’articolo di Luigi de Magistris pubblicato su Facebook l’11 agosto 2015

Napoli Città DERENZIZZATA

dalla pagina Facebook di Luigi de Magistris
Voglio premettere che ho rispetto per il Presidente del Consiglio e per il Governo, Istituzioni previste dalla Costituzione Repubblicana.

La riflessione che intendo fare è Politica.

Assistiamo con il Governo Renzi ad una consolidata e preoccupante involuzione antidemocratica, un'accelerazione fortemente autoritaria dell'assetto istituzionale, tutta di stampo liberista. Contro le autonomie ed a favore di un centralismo anti libertario.
Premier non eletto, nominato dalla casta. Uso bulimico ed abnorme - in violazione della Costituzione - dei decreti legge e del ricorso alla fiducia. Ribaltamento eversivo della Costituzione con l'utilizzo della legislazione ordinaria, a colpi di maggioranza. Attacco al diritto al lavoro con il jobs act, riduzione di diritti e dignità delle lavoratrici e dei lavoratori. Smantellamento della scuola pubblica. Lottizzazione dei servizi pubblici e di interesse pubblico.

Via libera con lo Sblocca Italia (rectius, sblocca affari, mafie e corruzioni) al massacro del Paese: faraoniche opere pubbliche, trivellazioni, inceneritori, commissariamenti di interi pezzi di territorio.
Privatizzazioni di patrimonio, beni, servizi. La bellezza del nostro Paese svenduta al mercato di lobby, cricche e mafie. Vogliono mettere sul mercato liberista anche corpi ed anime. Il respingimento dei diversi e degli ultimi, considerati scarti del liberismo consumistico. Tagli ai servizi per i cittadini attraverso i tagli ai Comuni. Tanto altro ancora nella rottamazione dei diritti, della Costituzione, dell'Italia.

Non ha rottamato il sistema politico, sta rottamando Costituzione e Paese. Mafia Capitale, inchieste Expo, Opere pubbliche indagine Firenze, Venezia Mose e altro: tutto nell'era renziana.

Mi sembra un saldatore, più che un rottamatore !

A Napoli, Davide contro Golia, proviamo a scrivere un'altra storia. Con tutti i nostri limiti, difetti, errori e le nostre incapacità. Senza piagnistei però, con infinito orgoglio di appartenere alla nostra Napoli. Terra Nostra, non Cosa Nostra.

Terra è identità, è radici, è profondità. La cosa è materialità, consumismo, proprietà.

La Terra è bene comune. A Napoli l'acqua è davvero bene comune, abbiamo creato ABC "Acqua Bene Comune", azienda speciale pubblica al posto della S.p.A..

Il patrimonio è pubblico.

L'emergenza rifiuti del Sistema Criminale lo abbiamo sconfitto con la creazione di un'azienda tutta pubblica di igiene urbana.

Non abbiamo messo sul mercato il trasporto pubblico.

I Governi liberisti tagliano alle comunità locali per mettere piombo sulle ali delle autonomie e noi non abbiamo tagliato al welfare, ai servizi, abbiamo rafforzato la cultura.

Pur avendo ereditato un Comune in dissesto finanziario - governato per venti anni dal partito del Presidente del Consiglio - non abbiamo licenziato un lavoratore. Abbiamo anzi assunto, in particolare nella scuola comunale: 380 maestre a tempo indeterminato.

Più scuole, più asili nido, più refezione. Napoli è la città che più è cresciuta negli ultimi mesi per turismo. Potrei continuare. Tante cose anche non vanno ancora bene, le sofferenze sono tante, gli obiettivi da raggiungere ancora molti, i servizi non funzionano ancora come vorremmo.
Siamo stati ostacolati in tanti modi, ci sono anche nostre colpe per le quali l'autocritica è necessaria.
A Napoli sta cambiando la politica. Non sono contro i partiti, ma non sono iscritto a partiti, sono autonomo, sono stato eletto per rompere, costruire, consolidare un percorso di autonomia. Per i movimenti popolari. Il processo è iniziato, va consolidato.

E' attiva in città tantissima Politica dal basso.

Autogoverno del territorio, partecipazione democratica, usi civici, proprietà collettive democratiche, liberazione di beni abbandonati.

A Napoli si costruiscono ponti di pace e si abbattono mura di indifferenza.

A Napoli gli abitanti si sono messi in movimento per difendere Città e beni comuni.

I problemi sono tanti, c'è molta sofferenza, ma anche enorme dignità, voglia di consolidare il riscatto in atto, desiderio di benessere materiale diffuso, ma anche emozionale e interiore. Una città non liberista, ma libertaria. Napoli città dell'amore.

Siamo stanchi delle lezioni propagandistiche sul Sud, fatte di superficialità ed approssimazione, basta discriminazioni. Non vogliamo aiuti, solo condotte di giustizia. Noi pensiamo che la liberazione definitiva delle nostre terre giunga da un processo di liberazione messo in atto dai nostri popoli con l'uso collettivo della nostra comunità. Vogliamo Napoli città autonoma, l'agorà del mediterraneo. Lavoreremo per essere autosufficienti, senza più trasferimenti dallo Stato e verso lo Stato.

Abbiamo già votato superamento Equitalia. Abbiamo incassato 50 milioni di lotta ad evasione Made in Naples. Usciremo dal piano di riequilibrio nel quale Governo e Parlamento ci hanno ingabbiato mettendoci tassazioni alte. Decideremo noi imposte e tributi che saranno minori e tutto rimarrà in città.

A Napoli sarà conveniente restare e venire ad investire. Con la nostra creatività creeremo le migliori condizioni per attrarre studenti, investitori, turisti.

Stiamo facendo emergere lavori in nero portandoli nella legalità. Con giovani, precari e disoccupati stiamo creando modalità dal basso di gestione di pezzi di città abbandonati.

Napoli ha grandi capacità economiche di autoproduzione e sarà conveniente lavorare ed investire in città.

Area in cui pubblico e privato possono procedere insieme per il bene comune.

Il popolo deve entrare nel sistema di produzione, del credito e dei servizi. Costruiremo governi partecipati di prossimità nella città di Napoli.

A Bagnoli, ora, Renzi, dopo anni ed anni di omissioni, sprechi, affari e crimini, quando abbiamo finalmente messo in campo l'azione di rilancio di Bagnoli smascherando anche gli autori dei disastri del passato, invece di dare alla Città le risorse per la bonifica - dovere di Stato trattandosi di un SIN (Sito di Interesse Nazionale ) - ha deciso di commissariare.

Vuole mettere le mani sulla città con le stesse logiche di potere che hanno distrutto parte del nostro Paese. A Napoli non comandano più le segreterie del sistema partitocratico, le cricche, i patti masso-mafiosi, le lobby.

Vogliono aggirare la nostra autonomia e la nostra esperienza colpendoci dall'alto. Vi abbiamo scoperto.

Volete occupare - con violenza di Stato e con poteri speciali - la nostra terra e affidarla a mani sbagliate. Di fronte alla violazione della Costituzione, all'occupazione violenta del territorio, all'abuso della legge, all'uso illegittimo del diritto, alle derive autoritarie, c'è un unico rimedio: ora e sempre RESISTENZA.

Sarebbe un delitto morale non resistere.

Ecco perché la nostra Città si proclama DERENZIZZATA.

Perché siamo per la democrazia, per la diffusione del potere, per la distribuzione del denaro, per la lotta alle disuguaglianze, per la giustizia, per il Popolo. Resisteremo ricorrendo alla giustizia costituzionale, ordinaria ed amministrativa. Resisteremo con il referendum. Resisteremo con la disobbedienza civile. Resisteremo nelle piazze, nelle strade e nei vicoli della nostra Città.

Resisteremo con la lotta politica. Resisteremo con la fantasia e la creatività di cui siamo capaci.

Resisteremo con l'amore della non violenza. Contro l'oppressione delle nostre vite, resistiamo con la liberazione dei corpi, delle coscienze e dei cuori. Costruiremo reti di resistenza ovunque contro il SISTEMA, a Napoli e altrove.

Siamo onesti e non ci facciamo occupare con mani e denari sporchi che puzzano di compromesso morale, meglio essere un po' brutti e sporchi, ma onesti, che essere tirati a lucido ma con la coscienza sporca. Possiamo vincere e comunque lotteremo.

Solo chi non lotta ha già perso !

giovedì 6 agosto 2015

Nico Pirozzi: Le "ecoballe" di Taverna del Re

Nico Pirozzi

Si chiama Taverna del Re: per secoli è stata una delle aree più fertili della Campania, come racconta lo stesso toponimo con il quale quest'angolo della provincia di Napoli continua ad essere conosciuto.

A inizio del nuovo millennio qualcuno decise di cambiarne il nome in Sisp, che non è un acronimo per indicare delle colture d'eccellenza, bensì quello di area di stoccaggio provvisorio di rifiuti imballati. In quindici anni, di rifiuti imballati (e anche non imballati) ne sono arrivati tanti: quattro milioni di tonnellate, o giù di lì. A rimuoverli nessuno ci ha mai provato, in barba a quel provvisorio, di cui - a distanza di tre lustri - appare difficile comprenderne il significato.


Così, quest'area grande quasi quanto duecento campi di calcio, che sorge a cavallo delle province di Napoli e Caserta, è diventato un immenso cimitero di fetide ecoballe, che dopo aver inferto un colpo mortale a una parte dell'economia campana hanno seminato morte (tumori e altre patologie letali) in una delle aree più densamente urbanizzate della regione.

Tutto ciò, con buona pace della camorra, che con i rifiuti continua a fare affari (basterebbe ricordare che per il solo affitto dei terreni che ospitano le ecoballe, lo scorso anno la Regione Campania ha messo in bilancio oltre 15 milioni di euro). Un cimitero dove i politici e gli amministratori che si sono succeduti alla guida della Campania farebbero bene a erigerci il loro monumento

Fonte: Il diario Facebook di Nico Pirozzi, 6 agosto 2015

domenica 2 agosto 2015

Padre Maurizio Patriciello: Italia unita?

Padre Maurizio Patriciello

Ciro Di Francia e Aniello Angellotti ascoltano Padre Maurizio Patriciello
a Pozzuoli il 31 maggio 2014 in occasione dell'assegnazione
del Premio Dicearchia a Padre Maurizio.
Come uomo del Sud sento forte, in questi giorni, la tentazione di riandare alle radici dell’unità d’ Italia. Ma non mi piace e non sarei capace di riscrivere la storia. Nemmeno mi piace piangere sul latte ormai versato. Quello che è stato è stato, nel bene e nel male. Di certo al nostro meridione, in questo secolo e mezzo che lo vede unito al resto della Penisola in una unica Italia, non sono state date le stesse opportunità di sviluppo che sono state concesse alle regioni del Nord. Non è un caso se oggi ritroviamo a dover registrare - ancora una volta - un malessere economico che ci mette sullo stesso piano della Grecia. Come mai?

In un Paese normale questa doppia andatura avrebbe dovuto mettere in guardia fin dall'inizio la politica nazionale e i governi centrali. Certo, da queste parti, di denaro ne è passato in questi decenni. Ma non solo non è servito a riportare il territorio a un tenore di vita accettabile, ma – non sto di certo svelando un segreto - è servito tante volte a rimpinguare le casse della malavita, soprattutto quella che faceva affari con pezzi dello Stato corrotti o collusi. Eterogenesi dei fini. Il denaro sprecato, senza progetti seri, studiati a tavolino, sul territorio, con i diretti interessati, fa spavento. Basti per tutti l’esempio del ponte – mai realizzato - sullo stretto di Messina. Quanto denaro è stato letteralmente gettato via per la costruzione di autostrade che non finiscono mai, ospedali rimasti incompiuti, cavalcavia che crollano dopo un mese dall’ inaugurazione. Di chi la colpa? Della gente del sud o di chi ha speculato sulla sua pelle? Chi era ed è pagato per sorvegliare? Dove stava e sta lo Stato centrale mentre tutto questo accadeva e ancora accade? Chi ha permesso che si potesse arrivare ad avere una sola Italia sulla carta e due Italie nei fatti? Chi ha fatto finta di non vedere che, uguali nei doveri, gli italiani non lo erano e non lo sono nei diritti?

I meridionalisti democratici Alessandro Citarella, Massimiliano
Gargiulo e Gino Balestrieri con Padre Maurizio Patriciello
il 31 maggio 2014 a Pozzuoli
Il rapporto Svimez, sull'andamento dell’economia meridionale, non ci ha sorpreso per niente. Questi dati li viviamo sulla nostra pelle. Da anni i vescovi delle regioni meridionali vanno denunciando lo stato di abbandono in cui è stato relegato il Sud. Non è un segreto per nessuno, nemmeno per i nemici dichiarati della Chiesa, che le parrocchie sono diventate, negli ultimi anni, dei veri e propri dispensari dove la gente viene a chiedere la carità di un pezzo di pane. Da anni andiamo denunciando che tante famiglie che vivevano in uno stato di povertà dignitosa sono sprofondate nella miseria nera. I nodi arrivano sempre al pettine. E fanno male. La lotta alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta è destinata a fallire miseramente se non c’è la volontà di togliere ai criminali la possibilità di dare lavoro e sostentamento a chi muore di fame.

Non è un segreto per nessuno che i criminali occupano tutti gli spazi lasciati liberi da uno Stato assente o latitante. È finito il tempo di accusare di omertà o collusione chi, dopo aver cercato invano, per mesi e anni di vivere onestamente, si ritrova a fare scelte scellerate per dar da mangiare ai figli. I figli. Quali figli? Quelli che hanno avuto la fortuna di nascere. Perché, per chi ancora non ha visto quanto bello è il sole, è molto probabile che finirà risucchiato da un tubo di gomma in ospedale. Tanta è la paura di non poterli sfamare. Li chiamano diritti. Quali diritti? Al diritto di nascere, che tanto bene farebbe a tutti, si bada poco, troppo poco. Su quello di abortire le parole si sprecano. Quanto siamo strani. Abbiamo paura degli immigrati. Non vogliamo gli stranieri. Intanto non mettiamo al mondo i figli. Eppure tanti nostri vecchi sono affidati alle cure di chi, più povero di noi, viene a cercare fortuna dalle nostre parti. L’ aborto dei poveri: com’ è diverso da quello dei ricchi. C’è poco da fare: il vangelo ha sempre ragione. Ha ragione quando ci chiama a vivere da fratelli, quando ci chiede di essere generosi. Quando ci comanda di non seminare odio, ma di amare tutti, anche chi ha la pelle di un altro colore. Anche – soprattutto? - chi non è ancora venuto al mondo, ma già vive nel grembo della mamma.  Ha ragione quando ci ricorda che dai frutti si giudica l’albero. E i frutti, oggi, 154 dopo l’Unità d’ Italia, sono terribilmente deprimenti.

Che fare? Bisogna correre ai ripari, non c’è dubbio. Ma in che modo? Intanto chi ha chiesto e ottenuto la fiducia degli elettori deve farsi modello di un vivere civile. Deve avere il coraggio di rinunciare una volta per tutte ai privilegi della casta che tanto male fanno agli italiani. Occorre poi avere il coraggio e la volontà di concretizzare una politica di sviluppo che sia omogenea per tutti gli italiani. È insopportabile questa Italia a due dimensioni. Una nazione a due marce. I partiti debbono trovare il coraggio e la dignità di essere implacabili con chi ha deturpato e ancora deturpa il volto della politica, di chi spegne la speranza nel cuore dei giovani, di chi negli anni ha pensato solo ad arricchire se stesso e la sua famiglia. Non si può chiedere agli italiani del sud di fare il proprio dovere se poi gli si nega i propri diritti. Il presidente Mattarella ha detto che il diritto al lavoro è inalienabile. La mancanza di lavoro non è un problema tra gli altri, ma il vero problema. È strano che il Parlamento si riunisce anche di notte e nei mesi estivi per approvare qualcosa che sta a cuore a qualcuno, ma sul diritto dei diritti, quello al lavoro, abbia la bocca socchiusa e la parola inceppata.


Originale pubblicato su Facebook 1 agosto 2015 al seguente link:
Padre Maurizio Patriciello: Italian unita?





sabato 11 luglio 2015

Contro le menzogne sulla geotermia nei Campi Flegrei

Conferenza del prof. De Natale a Pozzuoli, Associazione
per il Meridionalismo Democratico , 8 luglio 2015
Giuseppe De Natale
Direttore dell'Osservatorio Vesuviano


Questa storia degli impianti geotermici di Scarfoglio e di Ischia sta alimentando esagerazioni che rischiano di trasformarla in una barzelletta. Premetto che un mio collega geologo ha giustamente commentato dicendo che i geologi americani dell'impianto geotermico di “The Geysers”, il più grande al Mondo con una produzione vicina ad 1 GWe, quando gli ha raccontato di quello che sta succedendo qui per degli impiantini da 5 MW, ridevano. The Geysers è l'area più attiva della caldera più grande e più pericolosa al Mondo: Yellowstone, che 600.000 anni fa generò un'eruzione che produsse una catastrofe globale, cancellando gran parte delle specie viventi di allora. L'area dove sorge la centrale (in realtà, cito a memoria, sono 14, con 350 pozzi) è caratterizzata da emissioni di vapore bollente gigantesche, enormemente più grandi delle fumarole di Solfatara e Pisciarelli. Se fosse vero ciò che strillano alcune persone, si dovrebbe creare un movimento mondiale di milioni di persone che chiedono la chiusura di quegli impianti (in opera da più di 50 anni), che possono causare con buona probabilità l'estinzione della specie umana.

Io penso che bisognerebbe evitare di dire enormità di questo genere. E non voglio parlare in particolare dei Progetti in valutazione oggi, per i quali non ho alcun interesse specifico e che dovranno essere giustamente valutati con tutti i pro e i contro. Ma la verità è che, indipendentemente da possibili problemi specifici, gli impianti pilota (come definiti dalla Legge del 2010) hanno un impatto ambientale bassissimo, sicuramente minore di molti altri sistemi di produzione energetica, e sono estremamente consoni alla natura “geotermica” delle nostre aree. Per le sue caratteristiche vulcaniche, tutta l'area Napoletana potrebbe essere completamente riscaldata (e forse in gran parte elettrificata) con l'uso della geotermia, magari in combinazione con il solare e le biomasse vegetali. Significherebbe sottrarsi al ricatto economico e politico dei combustibili fossili, veder fiorire l'economia della nostra Terra. Purtroppo, continuando a farci male da soli, perderemo ogni occasione di valorizzare l'altra faccia, quella positiva, del nostro territorio vulcanico. Il motivo del declino della nostra Terra, in tempi recenti, è stata la superficialità e la sostanziale irresponsabilità di buona parte delle classi Intellettuali e Dirigenti, che raramente sono riusciti a guardare più in là del proprio naso e delle proprie beghe.

C'è chi disserta allegramente di “terremoti” che sarebbero indotti dall'attività geotermica ad Ischia e a Scarfoglio. Persone che magari non si sono mai occupate specificamente di sismologia; io, al contrario, sono un sismologo prima che un vulcanologo. Ho partecipato, come Responsabile INGV, a numerosi progetti sismologici internazionali, tra cui un grande progetto europeo, denominato 'GEISER', specificamente rivolto allo studio ed alla mitigazione della sismicità indotta dalle attività umane. Su questo tema, sono stato ascoltato dalle Commissioni riunite Ambiente ed Attività Produttive della Camera dei deputati che, a fronte di alcuni documenti di gruppi parlamentari estremamente critici o diffidenti verso la geotermia, hanno poi invece deliberato, ALL'UNANIMITÀ (quindi da M5S a Forza Italia e Lega), un documento che impegna il Governo a favorire in ogni modo lo sviluppo della Geotermia in Italia, riconoscendogli un ruolo altamente strategico ed un impatto (con le nuove tecnologie) estremamente basso. Però una traccia c'è, perché anche una persona a digiuno di geofisica possa capire chi magari non è proprio in buona fede: non dimentichiamo che alcune persone che oggi predicono disastri predissero gli stessi disastri per il nostro esperimento CFDDP (ndr: Campi Flegrei Deep Drilling Project), che non comportava alcun prelievo né re-iniezione di fluido; molti di quelli che oggi predicono disastri, all'epoca dei pozzi geotermici dell'ENEL (anni '80) erano già affermati docenti universitari, e non versarono una goccia d'inchiostro per denunciare "trivellazioni" e prove geotermiche che comportavano pompaggi e prelievi in pozzi di più di 3 km per impianti di grande taglia. Oggi, di fronte a pozzi di 100-1000 metri, e ad impianti di piccolissima taglia con tecnologie infinitamente meno invasive, si predice la fine del Mondo!




giovedì 25 giugno 2015

Caro Sud i cattivi non stanno solo a Roma


Lino Patruno

Dunque, secondo i sapientoni la scarsa presenza dei Grillini al Sud significherebbe che il Sud come al solito dorme. Un Sud per il quale ogni novità sarebbe più pericolosa di un cobra anaconda. E che, mentre nel resto d’Italia la piazza ribolle di rabbia contro la politica, continua a vivacchiare tra familismo e clientele, meglio tra clan e camorre. Solito nulla di nuovo sotto il sole, mentre al Nord e altrove Grillo e i suoi sarebbero il sole dell’avvenire. Nessuno toglie a Grillo i meriti che ha. In fondo il comico genovese passato dalla ricreazione alla indignazione ha occupato uno spazio (anzi una voragine) di disgusto e di voti in libertà che gli hanno lasciato aperto. Non a lui, per la verità, ma è una voragine di cattiva corrotta politica che ha a lungo afflitto gli italiani e che gli italiani non vogliono sentire più neanche nominare. E se quella di Grillo è una faccia da schiaffi, lasciamo perdere certe facce propinate finora come onorevoli. Quindi Grillo non fa antipolitica, sottolinea a modo suo quanto sia indecente quella che si chiamerebbe politica. Del resto, lo insegnava don Milani: non ci si può lamentare che la politica è una cosa sporca se si tengono le mani in tasca. Questo non vuol dire menarle. Ma tutto si può dire di Grillo tranne che le mani non le agiti non meno che la voce e l’insulto. Dice un sacco di parolacce. Ma forse qualcuno ha dimenticato tutte quelle ascoltate in Parlamento in questi ultimi anni. Quanti diti medi sono stati mostrati anche da gentili signore tacco 14 e non meno onorevoli. Per finire alle ultime notizie: quel lord inglese del leghista on. Borghezio che, a chi gli chiede perché non partecipa alle sedute parlamentari sul taglio ai finanziamenti ai partiti, risponde pubblicamente “non me ne frega un c. di ciò che si fa a Roma”.

E’ anche vero che Grillo fa più sfuriate che proposte. Ma non può lamentarsene un Paese che, non più di venti anni fa, non solo si è fatto prendere a pernacchie dalla Lega Nord, ma l’ha mandata al governo, ci ha tubato e ne ha accettato il federalismo fiscale manco fosse una madonna che lacrima. E poi, questo è il Paese in cui diventi qualcuno se gridi. Monti non grida, ma con le parole a vanvera non scherza, secondo solo alla ineffabile Fornero. Quanto poi alle proposte, è vero che Grillo fa soprattutto controproposte, nel senso che butta a mare tutto ciò che ha fatto (o sfatto) la cosiddetta politica finora. Ma sulle banche, sulle spese folli, sugli abusi, sui privilegi, sulle tasse, sulla corruzione ne ha dette, e ne ha dette non meno di quante, parliamoci chiaro, ne dice la gente. Ha detto anche che bisogna uscire dall'euro, ma lasciamo perdere. E che bisogna cacciare gli immigrati, e lasciamo perdere di nuovo. Tutto ciò non è un programma, ma rende nelle urne. Il problema sarà quando dovrà diventare programma, ricordando l’esempio dei radicali. Però Grillo libera energie. Porta alla ribalta delle città giovani altrimenti perduti. E giovani che vengono più dalle università che dalla rabbia delle periferie, anche se il loro acido solforico rischia di rimanere una vampata. Aggiungiamo: è una democrazia dal basso, da Facebook e Twitter. Che può riempire di fresco entusiasmo ma è sempre esposta al demagogo carismatico che decide per tutti: la popolarità non è sempre innocente. Come insegna appunto la Lega Nord. Non dimenticando i sassi, i petardi, le no-Tav e le insolenze di molti Grillini. Né dimenticando che la politica è l’arte della convivenza nel luogo comune, la capacità di stare insieme e di progettare insieme un futuro, non solo di dire “vaffa”. In tutto questo il Sud sembra assente: un altro divario?

C’è chi dice che il Sud (purtroppo) è ancòra legato al vecchio politico in grado di portargli sopravvivenza. C’è chi dice che i giovani del Sud sono molto più impegnati a partire che a restare per fare casino. C’è chi dice che nella terra del ritardo anche le novità arrivano in ritardo. C’è chi dice che il Sud aspetta la locomotiva del Nord non solo in economia ma anche in politica. C’è chi dice che al Nord si agitano ma le elezioni si vincono coi voti del Sud: vero, ma senza benefici per il Sud. E però è anche vero che, ogni volta che il Sud ha tentato una sua politica, si è gridato allo scandalo, meridionali in testa. Con un eventuale partito del Sud considerato una iattura, così si fa un favore a Bossi (che il resto d’Italia provvedeva a favorire). Certo, i tentativi sono stati talmente goffi che al confronto i Grillini sembrano fulmini di guerra. Anche per questo il Sud si è dovuto tenere vecchi marpioni buoni soprattutto a chiedere a suo nome soldi e non opere pubbliche. Cioè a rovinarlo. Conclusione: schiaffi come la fai e fai. Ma se la storia ha il vizio di ripetersi, per una volta il Sud dovrebbe giocare d’anticipo. L’alternativa è tenersi il Grillo di turno.

Articolo pubblicato su "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 15 maggio 2015 e ripubblicato sul blog di Lino Patruno 

domenica 31 maggio 2015

Nord-Sud: ‘Mamma mia’, ora il divario tra le due Italie si chiama ‘divide’

di Alessandro Cannavale

In un articolo recentissimo su The Economist, dal titolo “A tale of two economies”, l’Italia viene illustrata, con brevità di parole e fredda lucidità di cifre e grafici (intitolati “Mamma mia”) come un Paese in cui convivono due distinte economie. I dati economici nazionali, agli occhi della stampa estera, solo a fatica “mascherano” le dilanianti differenze regionali. Nel periodo 2001-2013, a causa della stagnazione, il Nord e il Centro del Paese sono cresciuti “di un misero 2%”. Ciò, nonostante una politica di investimenti che ha premiato le Regioni settentrionali, come ben si legge nei grafici riportati sull'organo di stampa inglese. Mentre il Sud si è “atrofizzato del 7%”.


Ne viene fuori un quadro dicotomico, dal quale emerge un’economia più forte, o più debole, di quello che dicono i dati nazionali: dipende solo dalla prospettiva da cui li si guarda. O dalla latitudine. Si parla di quel 70% di disoccupati meridionali sui 943.000 italiani che han perso il lavoro tra il 2007 e il 2014. O dell’occupazione femminile, ferma, al Sud, al 33%; dato misero rispetto al più lusinghiero 43% dei fratelli greci. Tra i motivi del ritardo: la lentezza nell’infrastrutturazione digitale, la lentezza della giustizia civile e della burocrazia, la corruzione. Tutte presenti, in varia misura, al Nord come al Sud. Quello che viene evidenziato è un aspetto peculiare del “divide”, ossia del divario tra Nord e Sud del Paese: la sua longevità.

Per continuare a leggere l'articolo di Alessandro Cannavale sul suo blog sul sito de "Il Fatto Quotidiano", fai clic su questo link

Chi è Alessandro Cannavale (dal suo blog): 
Ingegnere per formazione, ricercatore per lavoro, meridionalista per passione. Sono nato a Bari nel 1977. Mi occupo di nanotecnologie per l’efficienza energetica in edilizia e mi lascio appassionare dalle storie del vecchio, amato Sud. Nel far tutto, trovo ispirazione negli esempi mirabili di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per denunciare le ingiustizie subite, ancor oggi, dalle regioni meridionali.


giovedì 21 maggio 2015

Regionali Campania 2015, è guerra nella coalizione De Luca per far posto agli eletti sicuri


Arnaldo Capezzuto


C’è un dubbio e un interrogativo che si aggiunge alla grave questione dei candidati impresentabili nelle liste civiche a sostegno di Vincenzo De Luca a presidente della Regione Campania. Se il sindaco decaduto di Salerno chiude a Marano, inaspettatamente, nel cuore della notte, un accordo elettorale con Ciriaco De Mita, sindaco di Nusco e leader dell’Udc Campania, come sono riusciti a presentare candidature, coalizioni e liste il giorno dopo, rispettando il termine perentorio delle ore 12 del 2 maggio?

Pochi sanno che i partiti, le liste, i candidati per concorrere alle elezioni devono affrontare una consistente parte burocratica costituita da una serie di atti formali e adempimenti regolati da una precisa normativa. In particolare le regole prevedono che il collegamento fra candidato governatore e liste provinciali deve essere formalizzato attraverso due atti. Il primo è la dichiarazione del candidato governatore, dove descrive i simboli delle liste a lui collegate. Il secondo è l’accettazione da parte dei presentatori delle diverse liste. Insomma ogni lista dovrebbe aver depositato presso la commissione elettorale entrambi documenti. Mi domando: se l’accordo De Luca-De Mita è stato chiuso nel cuore della notte del primo maggio come sono riusciti in poche ore dalla scadenza di deposito a sistemare le carte e più che altro ad avvisare gli alleati?

Continua a leggere l'articolo di Arnaldo Capezzuto sul suo blog su "Il Fatto Quotidiano" facendo clic su questo link

martedì 12 maggio 2015

Voglia di identità, Partito della Nazione, Nazione napoletana e la Napoli di Ulisse

Gigi Di Fiore

Pochi giorni fa, nel presentare il tema del Salone del libro di Torino che si apre in questi giorni, scriveva il "Corriere della sera": "Le meraviglie d'Italia, ecco un altro possibile slogan. C'è un'Italia tutta da destare, da mettere in primo piano, da proporre ai nostri connazionali e al mondo".

C'è davvero in giro voglia d'Italia? E di quale tipo d'Italia? Sembra che Matteo Renzi non faccia altro che battere su questo argomento, come ha dimostrato alla presentazione dell' Expo a Milano parlando di "orgoglio italiano". L'Italia che il 24 maggio ricorda i 100 anni di inizio di quella macelleria che fu la Prima guerra mondiale. L'Italia che ha ricordato il 25 aprile i 70 anni dalla Liberazione dal nazi-fascismo. L'Italia, infine, che fa passare in sordina l'11 maggio, che è il giorno in cui 155 anni fa Giuseppe Garibaldi e i suoi 1089 in camicia rossa sbarcarono a Marsala.

Non è un caso, a Roma e in altri luoghi si cercano argomenti per unire, in una realtà frammentata e sfilacciata come quella che viviamo. E lo sbarco di Garibaldi certamente non avrebbe unito, ma diviso. Come è naturale, per uno degli episodi più controversi della storia d'Italia. La gente è stanca, nauseata della politica e lo hanno dimostrato le urne disertate qualche giorno fa a Trento e Bolzano. Non parliamo del fastidio provocato dalla campagna elettorale di questi giorni, specie nelle regioni meridionali.

E, mentre Renzi teorizza e studia un Partito della Nazione che dimentichi le differenze, massifichi e narcotizzi il dissenso, non ci si rende conto che la voglia di identità e diversità in questo Paese è tanta. E lo stesso "Corriere della sera", nell'articolo che ho ricordato all'inizio, lo affermava parlando di "collante di uno stesso modo di essere italiani, nelle tante diversità".

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sabato 11 aprile 2015

Divario Nord-Sud: tutto iniziò con l’Unità d’Italia. L’incapacità ‘genetica’ non c’entra

Distribuzione del PIL pro capite su base regionale rispetto alla media nazionale (Vittorio Daniele e Paolo Malanima, 2013)
di Alessandro Cannavale
Ancora una volta, gli scritti dei grandi meridionalisti del passato trovano un riscontro perfettamente congruente in studi e ricerche attualissimi.  Francesco Saverio Nitti, politico lucano e grande esperto di finanze, ne “Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1897” sostenne che l’Italia del Regno delle Due Sicilie portava in dote “minori debiti e più grande ricchezza pubblica”, fino a ricordare che nel primo periodo si ebbe un notevole “esodo di ricchezza dal Sud al Nord”.
Dunque, al contrario di quanto – purtroppo – si continua a leggere e dire a sproposito circa l’incapacità – persino genetica – delle genti del Sud di produrre sviluppo e progresso, lo scenario senza veli e pregiudizi è ben diverso: gli Stati preunitari versavano in condizioni tra loro affini, se non congruenti. La grande soluzione di continuità che innescò la creazione e l’accrescimento del divario tra Nord e Sud del paese furono proprio il processo di unificazione risorgimentale e, soprattutto, le successive politiche in materia di industrializzazione e infrastrutturazione.
In “La finanza italiana e l’Italia meridionale”, ancora Nitti: “Nei venti anni che seguirono l’unità, le più grandi fortune furono fatte quasi esclusivamente dagli imprenditori di opere di Stato: e fra essi non vi erano quasi meridionali, come un documento parlamentare, presentato dall’on Saracco, dimostra a evidenza. La situazione della Valle Padana ha reso più facile la formazione delle industrie, cui la politica finanziaria dello Stato, in una prima fase, e in una seconda le tariffe doganali, hanno preparato l’ambiente; di quasi tutte le industrie di cui lo Stato italiano negli ultimi trenta anni ha voluto assumere la protezione, nessuna quasi è meridionale: dalla siderurgia allo zucchero, dalle industrie navali alle industrie tessili, ecc., tutto è nelle mani degli stessi gruppi capitalistici”.

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Chi è Alessandro Cannavale (dal suo blog): 
Ingegnere per formazione, ricercatore per lavoro, meridionalista per passione. Sono nato a Bari nel 1977. Mi occupo di nanotecnologie per l’efficienza energetica in edilizia e mi lascio appassionare dalle storie del vecchio, amato Sud. Nel far tutto, trovo ispirazione negli esempi mirabili di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per denunciare le ingiustizie subite, ancor oggi, dalle regioni meridionali.

domenica 22 marzo 2015

Il Papa a Napoli contro la retorica, i luoghi comuni e una certa Chiesa

Arnaldo Capezzuto

Papa Francesco a Napoli ha guardato in faccia la città parlando con fermezza dei suoi mali. Non sono stati discorsi di circostanza o moraleggianti ma parole ferme, prese di posizione convinte portate avanti con la stessa tenacia già vista in Calabria.

“Cari napoletani, non lasciatevi rubare la speranza. Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti: questo è pane per oggi e fame per domani. Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, che sfruttano e corrompono i poveri e i deboli con il cinico commercio della droga e altri crimini”. E’ uno schiaffo di realtà dato “caritatevolmente” sui volti di chi ricopre ruoli di responsabilità e con le proprie decisioni – può e non lo fa – incidere sui destini di una collettività.

Ma il Santo Padre nelle sue numerose tappe si è rivolto direttamente ai napoletani, un popolo un po’ argentino e come lui figlio della fine del mondo. Questa è la vera magia che Bergoglio ha creato nel corso della storica visita nella metropoli all'ombra del Vesuvio: un grande abbraccio vero, sentito, vissuto. E come spesso accade: Napoli ha conquistato con empatia e schiettezza, il Sommo Pontefice.

Parole, silenzi e gesti che hanno scosso una città addormentata e assuefatta a un torpore indotto che come canta Pino Daniele “invece e c’aiutà c’abboffano e’ cafè”. Si, perché il percorso di speranza tracciato da Papa Francesco a Napoli e in generale nel Mezzogiorno d’Italia dev’essere organizzato, costruito, incanalato.

Invece, è stridente come un pezzo d’Italia sia stato abbandonato, emarginato, messo alla porta, tagliato fuori dal resto del Paese. Il Sud non entra e non è mai entrato davvero nell’agenda di vari governi che si sono succeduti, compreso l’ultimo. Solo promesse, elemosine, progetti-scatole vuote, finto efficientismo e giochetti di potere sulla pelle dei gonzi, i cafoni, i terroni, i sempre “chiagn’ fott”.

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domenica 8 febbraio 2015

Garibaldi, Velletri 1849 e il falso mito sbugiardato da don Benedetto

Gigi Di Fiore

Un mito, si sa, nasce su un fondamento di verità con l'aggiunta di tante esagerazioni. Un mito ha bisogno di alimenti di fantasia, iperboli, a volte anche vere e proprie invenzioni.

Se quel mito, poi, deve giustificare e dare forza ideale ad una identità costruita, allora non c'è verso di smentire le bugie. C'è, in Italia, mito più popolare in tutto il mondo di Giuseppe Garibaldi? L'eroe dei due mondi, il conquistatore con un pugno di volontari di un regno difeso da centomila soldati, l'intrepido generale.

Tra i tanti "padri del Risorgimento" probabilmente Garibaldi è quello che più si è esposto, che almeno ha rischiato di proprio, coerente con le proprie idee politiche. E lo dimostrò quando fu uno dei pochi ad andare in soccorso della Francia soccombente nella guerra contro la Prussia, o quando decise di difendere in Parlamento i suoi volontari contro Cavour e la sua maggioranza. Lo confesso, è quello che più mi fa simpatia.

Ma ci sono invenzioni che sono servite ad ingigantire la mitologia dell'eroe invincibile. Insopportabili. Come quella della vittoria del 19 maggio 1849 a Velletri contro i soldati di Ferdinando II di Borbone. Gli antefatti sono noti: il re delle Due Sicilie decise di andare in aiuto a papa Pio IX, unendosi ai francesi contro i volontari delle Repubblica romana, Ci fu un piccolo scontro, poi i francesi chiesero ai napoletani di tornare indietro. Avrebbero fatto da soli.

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sabato 24 gennaio 2015

Marco Esposito: Troppe risorse al Nord e molte chiacchiere al Sud. Siamo in condizioni coloniali…

di SIMONA D’ALBORA


Il 2015 dovrebbe segnare una svolta per ridisegnare l’Italia, mentre sempre più presidenti delle Regioni italiani si dicono d’accordo con la riforma del capitolo V che prevede proprio l’assetto delle autonomie locali quali comuni, province e regioni. Nei prossimi giorni le loro proposte saranno al vaglio di una commissione apposita istituita dal ministro Lanzetta che avrà due mesi di tempo per formulare una base tecnica di discussione che permetta un confronto sulle proposte, dopo di che toccherà alla politica dare le risposte. Gli ultimi in ordine di tempo a chiedere la riduzione e la riorganizzazione delle regioni italiane il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni e il presidente della Campania Stefano Caldoro, che in una conferenza stampa che si è tenuta a Milano, hanno ribadito la necessità di un ridisegno del territorio e hanno annunciato la presentazione di emendamenti alla legge di riforma costituzionale presentata in Parlamento. In questo clima si inseriscono i problemi di un sud che non riesce a decollare, con un tasso di disoccupazione preoccupante e un’arretratezza nelle strutture. Ne abbiamo parlato con Marco Esposito, giornalista, esperto in economia e segretario di Unione Mediterranea.

Se lei fosse il sindaco della città, quali sono le tre priorità su cui concentrerebbe l’azione della sua giunta? 
Sono stato assessore nella mia città, esperienza che mi onora, e ho provato a dimostrare che la correttezza paga. Oggi ci sono mille mercatali in regola in più e migliaia di famiglie che pagano le tasse e hanno risparmiato sulla Rc auto. Ecco, a Napoli la priorità è capire che cambiare si può e dipende da noi.

 E quali sono le cose che non farebbe mai? 
Aggiungere un semaforo e risparmiare sui mezzi pubblici.

I dati del Rapporto Mezzogiorno di Svimez 2014 evidenziano che l’economia italiana è ancora in difficoltà e si allarga la forbice con l’Europa, ma al Sud la recessione è più accentuata. La crisi non risparmia al sud nessun settore. Nel Mezzogiorno si consuma sempre meno e non si investe più. Il crollo è particolarmente marcato negli investimenti pubblici: appena un quinto rispetto a 20 anni fa. Eppure il mezzogiorno continua ad essere fuori dalle priorità del Governo, ai margini dell’agenda Renzi. Non è così? 
Eccome se è così. Non c’è un precedente simile dal 1861. E il governo Renzi, alle prese con una crisi non facile, ha deciso di concentrare le risorse al Nord e le chiacchiere al Sud. Quello che sta accadendo sugli investimenti ferroviari (98,8% al Nord) e sui tagli ai finanziamenti per il Sud (3,5 miliardi, ripeto miliardi!) tolti al Sud al comma 124 della legge di Stabilità 2015 senza dire nemmeno perché. Sottrarre risorse al Sud agli asili nido alle Università significa minare il futuro di un territorio. Inaccettabile. Con i parlamentari meridionali che giocano alle belle statuine.

venerdì 23 gennaio 2015

Università, asili, scuole: L’ammazza-Sud

Lino Patruno,

"La Gazzetta del Mezzogiorno del 23 gennaio 2015, prima pagina

Parlamentari meridionali cercansi. Specie quando è in gioco il futuro dei ragazzi del Sud: esempio, con la scuola e l’università. Anzi cominciando dagli asili nido. Per i quali il delitto perfetto ai danni del Sud è stato consumato nel silenzio assoluto dei rappresentanti del Sud (ne avevamo già parlato tempo fa, quando se ne ebbero tanto le prime turbolenze quanto i primi silenzi). E’ avvenuto che per il finanziamento degli asili nido pubblici si è deciso di affidarsi alla cosiddetta “spesa storica”, nel senso che chi ha avuto in passato ha continuato ad avere, chi non ha avuto in passato ha continuato a non avere. Esempio più clamoroso, Catanzaro: nessun asilo nido prima, nessun asilo nido ora. Ma tante altre città e tanti altri paesi. Così il Sud ha perso 700 milioni, distribuiti al Centro Nord (perdita di Bari, circa 7 milioni).

Ma perché non è stato adottato il criterio del “fabbisogno standard ”, seguito invece per altri servizi comunali come polizia urbana e rifiuti, trasporto e illuminazione? Stabilito quanto serve a ogni Comune, lo si attribuisce. E si sarebbe potuto fare senza togliere nulla al Centro Nord. Nessuna risposta, pur avendo tempo fa il sottosegretario Delrio parlato di “errore tecnico che correggeremo”, anzi errore tecnico “grave”. E pur avendo dato medesima assicurazione lo stesso premier Renzi. E pur chiedendo l’Europa una copertura si almeno il 33 per cento della popolazione, cioè un bambino su tre (Centro Nord ora a poco meno del 20 per cento, Sud 4 per cento).

Nel dibattito decisivo, nessuno dei cinque parlamentari meridionali presenti ha preso la parola (fra loro il lucano Cosimo Latronico, del Pdl, e il pugliese Gaetano Piepoli, Scelta Civica ora Centro democratico). Voto unanime di Pd, Forza Italia, Lega Nord, Cinque stelle, Sel. Poi fanno le indagini sulla qualità della vita e dicono che al Sud fa pena anche perché non ci sono asili nido sufficienti. Fanno più pena loro che non dicono perché.

Dagli asili nido all'università, altro giro altro danno al Sud (d’attualità perché se ne è parlato nei giorni scorsi nella Conferenza d’ateneo a Bari, in occasione dei 90 anni). Anche qui passato nel silenzio quasi generale del Sud un criterio di attribuzione di fondi che è un’arma letale contro il Sud. Più fondi alle università più ricche, meno fondi alle università meno ricche. Come, non il contrario? No, avete letto bene. Ma le università del Sud sono meno ricche perché fanno pagare meno tasse ai loro studenti altrettanto meno ricchi di quelli del Nord. Si arrangino.

Così è avvenuta la distribuzione dei cosiddetti punti-organico, cioè i docenti andati in pensione e da sostituire. Esempio: al Sant'Anna di Pisa, cinque nuovi docenti per ciascuno che se ne va, all'università di Bari 0,20 nuovi docenti per ciascuno che se ne va (solo una bassa insinuazione ricordare che rettore del Sant'Anna era quella professoressa Carrozza poi diventata ministra. A cosa? Ma all'università).

Così negli anni si è consumato anche qui il delitto perfetto dell’enorme taglio per il Sud, sistema rapido per concentrare tutto su poche grandi università (del Nord) e lasciare le altre all'elemosina. Magari tendenza non solo italiana, ma altrove fondata sul merito, non sui redditi. E con effetto moltiplicatore da serial killer: meno docenti uguale meno corsi, meno corsi uguale meno studenti, meno studenti uguale meno incassi, meno incassi uguale finanziamenti, meno finanziamenti uguale meno docenti. Con l’effetto collaterale dei ragazzi del Sud che emigrano nelle università del Nord.

Sono ragazzi arrivati all'università dopo essere stati avvelenati a scuola da testi scolastici da codice penale. Tipo il sussidiario di un editore nordico. Il quale, per spiegare la Questione Meridionale, scrive fra l’altro che “sul tronco di una differenza di sviluppo economico” (già zero in italiano) hanno “preso forma un’organizzazione sociale e un’identità civile profondamente diverse da quelle delle regioni centrosettentrionali”.

Cioè? “Esse sono dominate da un individualismo diffidente, nel quale gli interessi della famiglia o dei clan si antepongono, e inevitabilmente si contrappongono, a quelli dello Stato e della collettività nazionale”. E allora? “Su questo sottofondo pesano gli intrecci clientelari e la pervasività della violenza come pratica diffusa e sostanzialmente accettata per la risoluzione dei conflitti, sul cui tronco (e ridalle, ndr) sono sorte associazioni criminali di dimensioni gigantesche”. Meno male che non hanno scoperto il Sud mettersi le dita nel naso.

Consiglio ai lettori: inutile arrabbiarsi. In casi del genere è sufficiente affidarsi a Eduardo De Filippo e al pernacchio, una fusione di testa e di petto, cioè di cervello e di passione. Che deve significare: “tu sì ‘a schifezza ‘a schifezza ‘a schifezza ‘a schifezza ‘e l’uomm”. Questo è l’Oro di Napoli, cioè del Sud.