venerdì 12 settembre 2014

‘Davide Bifolco vive’ se lo Stato si rimette il cappello


di Arnaldo Capezzuto

Le parole sono stanche, ridondanti, vuote. Una bara bianca, il dolore struggente di una famiglia, l’abbraccio di un popolo. Dopo la tragica, maledetta, inumana morte di Davide per mano di un carabiniere nulla sarà più uguale a prima al Rione Traiano ma in generale nelle periferie delle città italiane. Lo sgomento, la sofferenza, il lutto non dovranno conservarsi e perpetrarsi solo nel ricordo dei cari, dei parenti e amici della vittima ma trasformarsi in memoria collettiva e riflessione permanente. “Davide vive” è impresso sui muri e sulle magliette distribuite a tutti i giovani del rione. Questo non dev'essere solo uno slogan emozionale legato al momento ma un intento serio e irrinunciabile di un pezzo dimenticato di Napoli. Il triste destino di quel ragazzo – poco più che adolescente – con tanti sogni spezzati deve diventare occasione per cambiare i comportamenti, e soprattutto la testa della gente.

Non è facile. Lo so. I miracoli non esistono. San Gennaro si è stancato. A Napoli tutto si ripete e perpetua. E’ vero. Anche i corsi e ricorsi storici del filosofo partenopeo Giambattista Vico sono andati in crisi. Adesso è l’ora. Bisogna darsi una scossa. Neppure il barile si può più raschiare. Deve risoffiare il vento di popolo, lo stesso che spirava nel corso delle quattro giornate quando i napoletani cacciarono via i nazi-fascisti dalla propria terra. Napoli non può più restare ferma, immobile, decadente. Questo antistorico medioevo è come una condanna all'ergastolo. Davide vivrà davvero e andrà oltre il suo funesto destino se i napoletani una volta e per tutte contrasteranno l’antica ed endemica malattia meridionale del “nonsipuotismo”, la maledetta rassegnazione a non poter fare nulla per cambiare le cose.

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