di Arnaldo Capezzuto -- 24 febbraio 2013
Il giornalista Arnaldo Capezzuto |
L’esplosione del tritolo è solo l’atto finale. Un magistrato, un servitore dello Stato muore un po’ prima: quando è delegittimato; quando è esautorato; quando è minacciato. Le parole pronunciate da un uomo di Stato come l’ex premier Silvio Berlusconi mi terrorizzano, mi inquietano, mi turbano. “Da noi la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”.
Sono parole violente, oltraggiose, mimetiche. Leggendole con freddezza,
ascoltandole nella mente, guardandole singolarmente e poi mettendole
insieme: mi danno bruciore e fastidio. E’ una sensazione: non mi piace
il loro rumore.
Tra poche settimane ci saranno importanti sentenze. Cito una tra tutte: quella che riguarda il senatore uscente Marcello Dell’Utri. La filigrana di quelle parole è maligna, puzzano di morte. Gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Appartengo alla generazione del 1970,
una generazione disgraziata che sembra non avere il diritto alla
verità. Il mio pensiero corre e si ferma a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ne potrei aggiungere tanti altri: Rosario Livatino, Rocco Chinnici e Cesare Terranova delegittimati e poi dilaniati dall'esplosivo C’è un vento fresco di popolo che soffia e non vuole più
piangere eroi perché non erano eroi, ma solo servitori dello Stato.
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