In principio furono i neoborbonici. Era vent'anni fa, nel 1993. Molto
prima di loro, Carlo Alianello con i suoi libri, Angelo Manna con le sue
appassionate trasmissioni televisive, Aldo De Jaco con i suoi
saggi-documento: cercavano di raccontare la storia del Sud diventato
italiano, senza agiografie, senza amnesie, senza vuoti. Senza differenze
di ideologie politiche. Isolati, volevano solo aprire squarci per una
verità a tutto tondo sul nostro Risorgimento. Non contro l'italia unita,
ma anche per l'Italia unita.
Studi di pochi su documenti non sempre consultati, storie bollate come
esagerazioni o invenzioni. Prima fra tutte quella del brigantaggio
post-unitario. Poi, attraverso la sua rubrica domenicale sul Mattino,
Riccardo Pazzaglia, scrittore, commediografo, autore di canzoni famose e
uomo di tv, lanciò la sua provocazione. La rubrica era "Specchio
ustorio". Pazzaglia invitò "chi voleva parlare male di Garibaldi e delle
sue imprese" a presentarsi al Borgo Marinaro a Napoli. Appuntamento il 7
settembre 1993. Una data simbolica: il 7 settembre 1860, Garibaldi era
entrato a Napoli.
Riscoperta di radici, identità, cultura del Sud bollato sempre come
"retrogrado, sottosviluppato, palla al piede dell'Italia". Pazzaglia
credeva di ritrovarsi quattro gatti, si presentarono in 400. Un
buongiorno di buon auspicio. In quell'occasione, Pazzaglia scrisse il
testo dell'inno delle Due Sicilie, che era stato musicato da Paisiello.
Poi, coniò il nome dell'associazione che inseriva nel suo statuto la
riscoperta e rilettura della storia, senza amnesie: nacquero i
neoborbonici.
Per continuare a leggere l'articolo, vai al blog di Gigi Di Fiore su "Il Mattino"
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